Quando la necessità di verde pubblico ci obnubila il cervello

Da qualche giorno sui social media gira questo meme dedicato alla proposta – molto discutibile – di un docente universitario canadese, professore di silvicoltura presso l’Università della British Columbia di Vancouver.

Immagine del meme circolante sui social media promosso dalla pagina FB “Alberi nostri alleati”

L’immagine è accompagnata dalla seguente spiegazione:

«Il dott. Cecil Konijnendijk van den Bosch, insegnante di silvicoltura dell’Università della British Columbia di Vancouver, ha proposto attraverso una serie di pubblicazioni e conferenze una regola di pianificazione delle città del futuro, così sintetizzata:

  • ciascun cittadino deve avere la possibilità di vedere almeno 3 alberi dalla propria abitazione;
  • il 30% della superficie di ogni quartiere deve essere occupata da chioma arborea;
  • 300 metri dovrebbe essere la distanza massima dal più vicino parco o spazio»

Tanti italiani hanno condiviso questo meme sui social media accompagnandolo con post incitanti a mettere in pratica questa “illuminante proposta green”.

Ebbene, è normale che una proposta del genere, specie in un momento in cui le pubbliche amministrazioni sembrano avere in odio gli alberi[1], faccia presa … però chiediamoci: si tratta davvero di una proposta condivisibile o sarebbe il caso di rifletterci a fondo? E cosa comporterebbe uno sviluppo urbano o una trasformazione urbana del genere? Non sarà mica che l’onda emotiva dettata dalla preoccupazione per i cambi climatici ci porta a sposare, senza rifletterci nemmeno un secondo, delle proposte “green” che ci sembrano la manna dal cielo?

Infatti, grazie al senso generalizzato di preoccupazione per lo stato dell’aria e per il cambiamento climatico, una serie di furbissimi personaggi in cerca di autore ha cavalcato l’onda emotiva per promuovere assurdità insostenibili, tuttavia spacciate per “vaccini” contro il riscaldamento globale.

Siamo così terrorizzati dalla qualità dell’aria e dalle ripetute catastrofi ambientali, che quando un nuovo guru ci mostra una soluzione, apparentemente salvifica, arriviamo quasi a divinizzarlo.

Così abbiamo assistito alle menzogne dei “boschi verticali”, delle auto elettriche, degli ex campi coltivati trasformati in foreste di pale eoliche e distese di pannelli fotovoltaici. Abbiamo perfino creduto che l’Ecobonus fosse una misura corretta per l’ambiente, piuttosto che una modifica dell’edilizia in finanza che comporta immensi rischi per le persone e l’ambiente.

La “tecnica del claim” si basa infatti sull’abuso terminologico necessario ad influenzare gli animi sensibili, così tutto risulta “sostenibile”, “rigenerante”, “resiliente” ed “ecologico” … una vera offesa all’intelligenza delle persone che non amano farsi infinocchiare da certe “paroline magiche”.

Siamo spaventati dai cambiamenti climatici, ma non ci preoccupiamo della sparizione dei terreni coltivati e della conseguente desertificazione delle campagne, dove non ci sono più le radici che possano prevenire lo smottamento dei terreni, né gli agricoltori che si prendevano cura della pulizia dei canali … però i nostri politici sono convinti di produrre energia “pulita” e versano lacrime di coccodrillo davanti alle alluvioni.

I principali dati di sintesi del Rapporto sul consumo di suolo 2021. FONTE: ISPRA
Dati della ricerca sviluppata dalla University Corporation for Atmospheric Research

I dati sul consumo di suolo nel nostro Paese sono effettivamente inquietanti[2], così come le ricerche scientifiche sull’influenza delle superfici pavimentate sul cambio climatico[3] risultano inconfutabili … ma questo non significa che si debba prendere tutto come oro colato e considerare la proposta del professore canadese come il toccasana per i nostri problemi.

Il dott. Cecil Konijnendijk van den Bosch infatti, non essendo un urbanista, non può neanche lontanamente  comprendere le implicazioni della sua proposta che, semmai, potrebbe trasformarsi nella più stupida delle “non soluzioni” che potrebbe peggiorare, piuttosto che migliorare, le condizioni dell’aria e del clima.

Se mai,  grazie all’entusiasmo degli ambientalisti prendesse piede una soluzione del genere, ci troveremmo infatti davanti ad un mostruoso consumo di suolo, confermando l’urbanistica dello “sprawl” tanto cara, guarda caso, agli americani e canadesi i quali, guardando alle città che hanno realizzato dal dopoguerra ad oggi, evidentemente di urbanistica non hanno mai capito quasi nulla!

Occorrerebbe piuttosto riflettere sul fatto che, spesso, la miopia sentimentale degli ambientalisti (intenzionale o manipolata) possa aver condotto a scelte scellerate in materia urbanistico-ambientali … per esempio il discorso fatto sulle pale eoliche e sulle distese di pannelli fotovoltaici che stanno distruggendo il nostro paesaggio.

In passato, sempre grazie alla “tecnica del claim” e della certezza di far bene all’ambiente (pensiamo per esempio alla cerimonia che diede avvio alla costruzione dell’EUR dove Mussolini, piuttosto che posare la prima pietra, piantò un Pino Domestico) il mondo ha già scelleratamente riposto fiducia nelle teorie di un folle personaggio, la cui fortuna è stata dovuta al suo sponsor produttore di auto Voisin.

Quell’individuo, che non era un architetto, né un urbanista, si chiamava Le Corbusier e la sua proposta “green” si chiamava “La Ville Radieuse” … una follia assoluta che, però, presentata come cosa buona e giusta – nell’interesse dell’industria automobilistica e petrolifera – ha condotto il nostro pianeta all’attuale punto di non ritorno che, a sua voltà, ci porta a ricercare in tutti modi, anche senza riflettere, un modo migliore per concepire città più sostenibili e funzionali, sebbene il modello urbanistico imposto da Le Corbusier venisse definito “funzionale[4]!

Le Corbusier, La Ville Radieuse, 1935

La folle teoria della Ville Radieuse[5] sentenziava: «le città saranno parte della campagna; io vivrò a 30 miglia dal mio ufficio, in una direzione, sotto alberi di pino; la mia segretaria vivrà anch’essa a 30 miglia dall’ufficio, ma in direzione opposta e sotto altri alberi di pino. Noi avremo la nostra automobile. Dobbiamo usarla fino a stancarla, consumando strada, superfici e ingranaggi, consumando olio e benzina. Tutto ciò che serve per una grande mole di lavoro … sufficiente per tutti.»

Alla luce dell’assoluto fallimento di quel modello, sarebbe ora di smetterla con l’esterofilia e con i “facili entusiasmi e ideologie alla moda[6]” per finte soluzioni “green” … perché l’adagio popolare “nel paese dei ciechi quello con un occhio è il re” non può essere la regola, né tantomeno possiamo continuare ad andare avanti alla cieca, pensando di dover presuntuosamente reinventare ogni giorno la ruota in nome del progresso, piuttosto che guardarci umilmente alle spalle per vedere se qualche soluzione, peraltro testata dal tempo, l’avessimo già trovata.

Infatti, nel momento di massimo inurbamento delle principali città italiane, illustri studiosi riuniti sotto l’Associazione Artistica dei Cultori di Architettura si dedicarono allo studio della nostra architettura e delle nostre città, essi si dedicarono anche all’analisi delle “città giardino” sviluppate all’estero e capire come realizzare quel modello in Italia.

Fu così che l’opera, straordinaria, di Gustavo Giovannoni portò a concepire un tipo di città giardino che prendeva il meglio del modello estero cercando di usarlo nel rispetto del carattere e delle esigenze dei luoghi, evitando tutti gli aspetti sbagliati analizzati.

Nacquero così a Roma la Garbatella e Città Giardino Aniene, dove all’andamento dei percorsi rispettoso dell’orografia non corrispondevano le casette tutte uguali visibili nel modello straniero. Le alberature preesistenti vennero rispettate per poter avere un verde già cresciuto, risparmiare denaro, preservare l’ambiente e rafforzare l’effetto sorpresa e il carattere dei luoghi. Le case vennero diversificate per venire incontro alle necessità di tutte le età e di tutte le tipologie di famiglia, in funzione del numero di persone, del tempo a disposizione per dedicarsi o meno al verde e per qualsivoglia altra esigenza che fa gli esseri umani diversi e non standardizzabili … tutte cose riassunte nell’illuminata normativa dell’Ufficio Municipale del Lavoro di Roma che sovrintendeva allo sviluppo urbanistico della città[7].

Tra le tante cose che Giovannoni aveva intuito, studiando le dinamiche di sviluppo dei borghi e dei quartieri delle città italiane, c’era anche il riconoscimento del fatto che le nostre città si sono sviluppate per “moltiplicazione e duplicazione di un agglomerato, totalmente autosufficiente, delle dimensioni comprese tra 800 e 1000 metri di diametro” … che poi è in qualche modo quello che, senza la profondità dello studio di Giovannoni, molti decenni dopo è stato definito dai rappresentanti del new urbanism, “la città dei 10 minuti a piedi”.

Quello è il modello cui ispirarsi per una corretta pianificazione o ridisegno delle nostre città, una pianificazione dove, ovviamente, il verde deve avere il suo ruolo fondamentale, specie per la definizione dei margini dell’intervento, prevenendo l’espansione a macchia d’olio … cosa che Giovannoni aveva suggerito per le due Città Giardino romane e che, a causa della speculazione e della normativa post LeCorbuseriana (Legge Urbanistica 1150/42), purtroppo riesce a leggersi solo marginalmente.

Se vogliamo un futuro migliore non dobbiamo, ottusamente, guardare (o peggio immaginare) solo in avanti, perché il progresso non è quello. Come diceva infatti Edmund Burke «una civiltà sana è quella che mantiene intatti i rapporti col presente, col futuro e col passato. Quando il passato alimenta e sostiene il presente e il futuro, si ha una società evoluta!».[8]

Lo ZEN di Palermo nello stato attuale (16000 abitanti e poco verde) e nella mia proposta (21500 abitanti e una dotazione di verde 6 volte superiore alla dotazione minima ministeriale)
Il Corviale di Roma nello stato attuale (6500 abitanti con un consumo di 29,81 ettari di suolo e assenza di verde degno di tale definizione) e nella mia proposta di rigenerazione (8530 abitanti con un consumo di suolo ridotto a 18,26 ettari, con isolati a corte con giardino e un grande parco pubblico)

[1] https://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2023/07/16/sulla-bonifica-dei-terreni-per-realizzare-un-parcheggio-al-posto-del-previsto-parco-presso-il-porto-e-il-castello-di-barletta/

[2] https://resoilfoundation.org/ambiente/consumo-di-suolo-2021-costo-80-miliardi/

[3] https://news.ucar.edu/4701/paved-surfaces-can-foster-build-polluted-air

[4] https://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/08/07/sul-disastro-urbanistico-successivo-al-iv-ciam-del33-e-sulla-possibilita-di-far-rinascere-le-nostre-citta/

[5] Le Corbusier, “La Ville Radieuse”, Parenthèses Editions ISBN-10: ‏2863643045; ISBN-13: 978-2863643044

[6] Citazione dalla canzone “una Giornata Uggiosa” di Mogol-Battisti, 1980

[7] Cfr. Ettore Maria Mazzola, “Architettura e Urbanistica, Istruzioni per l’Uso – Architecture and Town Planning, Operating Instructions – Saving architecture might save the Italian economy”. With Preface by Léon Krier. Editrice GANGEMI, Rome, 2006. EAN 788849209839;

Ettore Maria Mazzola, “La Città Sostenibile è Possibile, Una strategia possibile per il rilancio della qualità urbana e delle economie locali – The Sustainable City is Possible, A possible strategy for recovering urban quality and local economies”.  With Preface by Paolo Marconi, Editrice GANGEMI, Rome, 2010. EAN 9788849218640

[8] P. Langford, The Writings and Speeches of Edmund Burke, Oxford, Clarendon Press 1981

8 pensieri su “Quando la necessità di verde pubblico ci obnubila il cervello

  1. Chissà che ne pensa il Dott. van den Bosh del fatto che in città come Roma, oggi si rischia seriamente di affacciarsi dalla finestra e vedere giganteggiare tre alberi di Ailanto, uscire e averne, fra polloni, ficcati nelle crepe dei muri o sulle soglie dei marciapiedi e adulti, circa il 50% o, se mai ci fosse rimasto un piccolo parco (addirittura con laghetto annesso, magari pieno di testuggini caimano), contarne il 70%. Accidentaccio, la realtà guasta sempre la festa degli ideologi.

  2. …sarà che gli sono andati in fumo i boschi, in Canada….sarà che gli è andato il fumo nei polmoni…sarà che non ci stanno più con la testa per mancanza d’ossigeno, ma in Canada mi sembra non si ragioni più, o si ragioni con gli organi non deputati….ultimamente!

  3. In ogni caso la normativa urbanistica italiana, quando rispondeva al significato tassonomico, contemplava con gli standard edilizi anche quelli relativi al verde pubblico in tutte le sue declinazioni, accessori, oneri. Poi sono arrivati i “prendi” modernizzatori a rincoglionire le plebi e lanciare la moda del privato è bello e il pubblico è brutto e cattivo e adesso….è bello vivere come le sardine sott’olio. Altro che 300 alberi

    1. Esattamente. Perseverare nell’edulcorare con puttanate “green” il fatto incontrovertibile che la presenza, progettazione, gestione e manutenzione, di massicce dosi di natura e di verde nelle città , sia un problema politico, non servirà a salvare nessuno, neanche coloro che hanno puntato tutto sul rincoglionimento generale.

    2. ….e basterebbe la triste vicenda dei “Punti Verde Qualità” per chiarire una volta per tutte come è stata declinata l’opera pubblica da sedicenti im-prenditori, spesso improvvisati, se non proprio noti truffatori, al riparo dai compari della politica….una volta di destra, una volta di pseudo sinistra, una volta del centro e……..tutti insieme in paradiso.

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