Street Art e Rigenerazione Urbana … una scomoda verità

Le periferie prodotte dall’urbanistica e dall’architettura figlie della Carta di Atene, ergo della Legge Urbanistica 1150/42 e di tutte le leggi e decreti successivi, sono state, nella totalità dei casi, un disastro urbanistico-sociale senza precedenti!

Eppure, nella mente dei promotori di certe idee e norme, ciò che si sarebbe realizzato avrebbe rappresentato un vero e proprio riscatto “moderno e funzionale” nei confronti delle vecchie città, ritenute disfunzionali! A seguire, specie con le presunte idee sinistrorse-liberiste dei primi anni ’60, si ritenne che di quel riscatto avrebbe soprattutto beneficiato la classe operaia emergente a discapito della “maledetta borghesia”.

Infatti, se negli anni ’30–‘40 la folle visione di Le Corbusier[1] – sponsorizzata dal produttore automobilistico francese Voisin – portò le città di tutto il mondo a perdere la scala umana ed “emanciparsi dal sistema di trasporto pubblico”, a tutto beneficio dell’industria automobilistica e petrolifera, l’ossessione antiborghese dei teorici dell’urbanistica e dell’architettura degli anni ‘60, il cui «ultimo fine era di materializzare l’idea che la città storica, espressione delle classi sociali che avevano dominato e oppresso la società umana, doveva essere abbandonata ai suoi fondatori, mentre alle classi sociali popolari in ascensione sarebbero stati destinati i nuovi quartieri costruiti in periferia che, aggregandosi, avrebbero finito col generare la Nuova Gerusalemme: la città della società senza classi, libera, giusta e fraterna»[2], portò le città ad espandersi a macchia d’olio, creando immonde periferie, criminogene e spersonalizzanti.

Tutto questo ha lasciato alle generazioni successive un’eredità fatta di debiti più che di ricchezza, un’eredità che sarebbe meglio rinnegare, piuttosto che arrovellarsi il cervello sul come “migliorarla”, “riqualificarla” e/o “rigenerarla” … anche perché, tutto ciò che vien fuori dalla mente ideologicamente compromessa della maggioranza dei nuovi esperti della materia, sembra non essere altro che l’ennesima menzogna[3], atta a portare benefici ovunque, tranne che a chi realmente ne abbia bisogno!

Va infatti sottolineato come nel nostro Paese, “conservatore-a-sproposito”, essendo quasi tutte le periferie “griffate[4] dai più famosi docenti universitari e/o direttori di riviste patinate di architettura, nonostante l’evidenza dei fatti, ogni qualvolta si paventi l’ipotesi di abbattere qualche edificio o quartiere degradato e degradante, il mondo degli “esperti” insorge a difesa di quelle mostruosità, proponendo interventi conservativi che, a loro dire, risulteranno “rigeneranti” e/o “riqualificanti”!

In pratica, lo abbiamo visto di recente, quando si tratta di perdere edifici del primo Novecento, come nel caso dei villini romani oggetto di demolizione e sostituzione in nome della necessaria “riqualificazione urbana”, gli stessi esperti non vedono, non sentono e non parlano mentre, se si tratta di difendere un abominio edilizio come il Corviale, arrivano addirittura a richiedere l’apposizione del vincolo alle Belle Arti. Evidentemente, in nome della cupidigia, dell’ideologia e dell’opportunismo, l’ottusa visione “antiborghese” continua ad aleggiare negli ambienti degli “esperti”!

Cosa si propone di fare dunque per evitare l’abbattimento di abomini come il Corviale? Nel caso dell’immondo “grattaterra” di un chilometro, piuttosto che rispettare la volontà dei residenti che nel lontano 2001, in occasione della Conferenza “Rigenera Corviale” tenutasi a dicembre presso la Sala dello Stenditoio dell’Istituto San Michele di Roma, richiesero di sostituirlo un quartiere “a dimensione umana sul genere della Garbatella”, gli “esperti” dell’università, dell’Ordine degli Architetti, della Regione e dell’ATER, hanno pensato bene che il concorso per la “rigenerazione” dovesse ispirarsi all’idiozia del “chilometro verde[5]”, sì da regolarizzare il 4° piano, i cui spazi – che i progettisti avevano follemente immaginato per le attività commerciali – risultano occupati abusivamente … inutile dire che questa pessima operazione “di facciata”, non porterà alcun beneficio ai residenti regolari, né alla vitalità dell’ecomostro!

Il chilometro verde, l’idea dell’arch. Guendalina Salimei tradotta prima nel film “Scusate se esisto” e poi nel concorso per la “rigenerazione urbana del Corviale” … un qualcosa per la quale il rag. Fantozzi avrebbe saputo esprimere – meglio di chiunque altro – il giudizio più opportuno

Nei miei precedenti articoli qui segnalati, avevo già parlato dei presunti interventi “salvifici” a base di verde verticale, di tetti verdi e di ogni possibile soluzione di natura industriale spacciata per “sostenibile”, “bio”, “eco”, ecc., quindi non mi ripeterò. L’oggetto della critica odierna è molto più semplice e riguarda l’uso dei murales – oggi fa più chic chiamarli opere di “street art” – come strumento di rigenerazione urbana.

Infatti, l’ultima frontiera della presa per i fondelli di chi si ritrovi a vivere in quartieri spersonalizzanti privi di tutto, tranne che del disagio, viene dalla promozione di presunte “pitture artistiche” sulle pareti di edifici …

Da consueto rompiscatole voglio chiedere: ma davvero portano beneficio? E a chi?

Nel 2014, il Municipio VIII di Roma ha promosso la realizzazione di una serie di pitture murali, a partire dal quartiere Ostiense le cui architetture (di alcuni edifici industriali) oggi appaiono come dei baracconi da luna park, dove le pitture risultano del tutto assurde per un contesto urbano: alcune possono anche considerarsi ben fatte ma appaiono del tutto fuori luogo, mentre altre addirittura, orrende, non sono altro che dei patetici ipertrofici fumetti senza senso!

Il murales dello street artist Blu sull’edificio industriale ad angolo tra via delle Conce e via del Porto Fluviale

Inutile dire che una certi esponenti della cosiddetta “cultura radical-chic” si siano espressi favorevolmente. Del resto, fino a poco prima, ci si lamentava sostenendo che “Roma è da sempre famosa per il suo incommensurabile patrimonio archeologico. Rispetto ad altre città europee quali Berlino o Londra, la nostra Capitale solo negli ultimi anni ha saputo riscoprirsi culla della street art internazionale[6]

Ma davvero c’è chi pensi che Roma necessiti di queste opere per risultare all’altezza di Berlino o Londra? Non sarà forse che possano essere quelle capitali a non poter competere, neanche da lontanissimo, col nostro patrimonio artistico-Culturale? Non sarà mica che certi pseudointellettuali radical-chic necessitino di comprendere la differenza tra Cultura con la “C” maiuscola e sottocultura?

Ovviamente la discussione sull’estetica di certe pitture potrebbe durare giorni e, comunque, risulterebbe del tutto sterile ai fini del reale oggetto di oggi che è quello del loro uso ai fini della “rigenerazione urbana”, ragion per cui mi limiterò a far riflettere solo su quelli che possano – realmente – essere i benefici di queste pitture, promosse e spacciate come interventi “rigenerativi”.

Roma, via Caffaro, pittura murale di Sten & Lex

Nel 2013, a Roma, venne inaugurata una grande pittura murale realizzata da Sten & Lex sulla parete di un edificio in via Caffaro, poco al di fuori del nucleo storico della Garbatella. Il murales venne finanziato in crowfunding per una cifra pari ad € 10.000 … si dirà, non sono soldi pubblici, quindi va bene! Tuttavia occorrerebbe chiedersi se, vista la situazione in cui versano le strade, i marciapiedi, il verde e le attrezzature della zona, quei presunti “appassionati d’arte, volontari e cultori” non avrebbero fatto meglio ad offrire quei 10mila euro per un miglioramento più tangibile, a favore dell’intera comunità! … Sulla qualità estetica della pittura di Sten & Lex e sulla sua relazione con il contesto preferisco non esprimermi.

A seguire, la giunta municipale, in partenariato con l’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale, organizzò l’iniziativa “Cultura Restart”, grazie al cui bando pubblico vennero finanziate nuove opere, per € 40.000, tra cui un murales dell’artista Jerico al Parco del Cavallo Pazzo, a pochi metri di distanza dall’opera di Sten & Lex.

Leggendo un articolo dell’epoca è possibile apprendere che Marotta, Assessore alla Cultura del Municipio VIII, dichiarò: “tra i vari punti presi in considerazione dal bando, uno riguardava proprio la rigenerazione urbana, dove ben s’innesta l’attenzione per l’arte di strada, quella stessa arte che già da qualche anno ha fatto guadagnare ai nostri quartieri una serie di bellissime opere murali divenute a tutti gli effetti patrimonio della città. Vogliamo far diventare Ostiense una galleria d’arte a cielo aperto, perché la street art è un potente strumento di trasformazione e rigenerazione”.

Quindi, secondo questo illuminato ex assessore, in un Municipio dove le strade presentano buche pericolose, dove i marciapiedi sono caratterizzati da asfalto a chiazze, con buche ed erbe infestanti, dove le aiuole sono piene di erbacce secche ed immondizia, piuttosto che di piante, fiori ed alberi, dove i luoghi per la socializzazione quasi non esistono ed i parchi gioco per i bambini versano in condizioni deplorevoli, la “rigenerazione” urbana ed il miglioramento della vita dei residenti si ottiene facendo imbrattare le pareti con immagini fumettistiche insensate!!

Ma c’è di più. Marotta, nella sua qualità di Assessore alla Cultura – e con lui tutti gli pseudo-intellettuali radical-chic – avrebbe dovuto riflettere sul fatto che la cosiddetta “street art” dei graffitari locali, nasce dall’emulazione di un fenomeno di sottocultura, sviluppatosi tra le gangs newyorkesi per definire il proprio territorio. Se volessimo dare una chiave di lettura socio-psicologica, potremmo spingerci a sostenere che quelle opere servissero a creare un senso di appartenenza in un luogo spersonalizzante …

Che senso dunque avrebbero a Roma e in Italia queste pitture? Inoltre bisognerebbe riflettere sul fatto che, favorendo certe opere di cattivo gusto si istigano molti ragazzini ad emulare quegli emulatori – cosa che infatti sta accadendo – sfregiando definitivamente la città! È questa dunque l’immagine di una città “rigenerata” che si sta cercando?

La rigenerazione dovrebbe innanzitutto interessare le aree degradate delle città … in pratica quasi la totalità di quello che è stato prodotto a partire dal secondo dopoguerra, e non come si vuol fare ultimamente, anche i centri storici. La rigenerazione dovrebbe riguardare la necessità di definire il disegno urbano di quartieri che non ne hanno mai avuto uno; la rigenerazione dovrebbe definire gli spazi dedicati alla socializzazione ed al tempo libero di tutte le categorie di cittadini; dovrebbe mirare a creare delle sequenze pedonali articolate per piazze e piazzette[7], che invitino la gente al passeggio, disincentivando l’uso dell’auto; la rigenerazione urbana dovrebbe creare un senso di appartenenza dei residenti; una corretta rigenerazione dovrebbe creare interessi tali da evitare che i residenti debbano costantemente “migrare(spesso causa del congestionamento del traffico) verso altre zone della città più fortunate, alla ricerca dei luoghi che gli sono stati negati. La rigenerazione dovrebbe creare spazi verdi, piste ciclabili, un sistema di trasporti pubblici dignitoso, ma dovrebbe anche mirare a salvaguardare le economie locali, laddove il piccolo commercio e tutte quelle attività in grado di “sorvegliare spontaneamente” le strade rischiano di scomparire a causa della proliferazione dei centri commerciali[8]! … In pratica, certi “promotori di cultura e rigenerazione urbana” dovrebbero comprendere che scrivere dei messaggi di auguri o dipingere dei fiorellini su dei missili non li rendono meno devastanti[9]

Auguri di Buona Pasqua ad Adolf Hitler da parte della RAF
Au Fil de Loire, Briven Charensac, Francia

Giorni fa, su Facebook, dopo che un caro amico mi aveva chiesto cosa pensassi di questa immagine[10], avevo fatto un brevissimo post da cui era scaturito un interessante e costruttivo dibattito, ancora in atto. Nel post mi limitavo a commentare:

«Che dire, sicuramente la parete decorata magistralmente, rispetto alla parete cieca e triste, è meglio.

Tuttavia, come ho più volte segnalato, dietro queste operazioni incombe spesso il rischio di travisare il reale senso di una “riqualificazione” delle periferie degradate. Questo genere di interventi infatti, oltre ad aggiungere sulla parete cieca un’immagine (bella o brutta, da vedere, a seconda degli artisti coinvolti), al quartiere non porta assolutamente nulla.

Mi spiego meglio: un quartiere dormitorio, caratterizzato da appartamenti opprimenti ed insalubri, assenza dei servizi, assenza di luoghi per la socializzazione, ecc. non migliora miracolosamente grazie al pennello di un artista. Molto spesso, come purtroppo mi è capitato di registrare, dietro queste – è il caso di dirlo – “operazioni di facciata” radical-chic, si nasconde l’interesse losco di faccendieri che muovono denaro pubblico a proprio vantaggio senza che ai residenti resti nulla, tranne la “facciata” … conosco politicanti indegni, che vivono con le loro “associazioni” grazie ai contributi pubblici per manifestazioni totalmente inutili che sfruttano il disagio altrui!»

Ancora una volta torna utile cercare di guardare al di là di quella facciata per comprendere quale possa essere l’affare.

Nel 2016, Barbara Ardù e Sara Grattoggi, su La Repubblica[11], scrivevano:

«Dalla ribellione al business. Nata come arte sovversiva e di denuncia, la Street Art è ormai un fenomeno di massa. Come il rap, il grunge, la letteratura pulp, è passata dalla controcultura al mainstream. Celebrata da esposizioni nei più prestigiosi musei, ingaggiata dalle amministrazioni pubbliche per riqualificare le periferie. E, ora, corteggiata anche dai grossi brand, che hanno intercettato il nuovo gusto dei consumatori e hanno deciso di cavalcare l’onda. E così la Street Art, dopo essere entrata a pieno titolo nell’Olimpo delle arti, ha iniziato a farsi strada anche nel mondo del business.

[…] Ormai nei consigli di amministrazione — dice Luca Borriello, presidente di Inward — quello che un tempo veniva visto come un fenomeno negativo inizia a essere accolto con interesse anche perché in tempi di crisi, dove di soldi ne girano pochi, ricorrere alla street art paga».

[…] Ma anche i costruttori sono interessati. Una via l’ha già data Claudio De Albertis, alla guida dell’ANCE, l’associazione dei costruttori, che nella sua veste di presidente della Triennale ha sempre supportato iniziative di creatività urbana. Ma molti altri, più prosaicamente, stanno cominciando a valutare l’affare.

Perché, ormai in tutto il mondo, ci si è accorti che la Street Art fa lievitare i prezzi degli immobili. Il Centro per lo Studio della Moda e della Produzione culturale dell’Università Cattolica di Milano stima che la riqualificazione dei quartieri con opere di arte urbana faccia aumentare i prezzi almeno del 20 per cento. E su alcuni annunci immobiliari comincia a spuntare la scritta “Con vista Street Art”.

Certo, dipende anche dagli artisti. Secondo Collier International Italia alcune proprietà a Bristol e a Londra firmate Banksy hanno aumentato il loro valore di decine di migliaia di sterline. Ma non tutti gli artisti reagiscono allo stesso modo, quando le loro opere nate per denunciare speculazioni in quartieri degradati, finiscono paradossalmente per diventare un fattore di gentrificazione. Celebre il caso di Blu che ha cancellato dai muri di Berlino Brothers e Chain, in polemica con il progetto di riqualificazione».

In pratica, gli street artists coerenti ed onesti che si rendono conto di venire usati per secondi fini, ben distanti dall’originario senso delle proprie opere, non ci stanno! Chi ci guadagna è l’investitore, non di certo il quartiere e, soprattutto, non i residenti dei quartieri che, a seguito del processo di “gentrificazione[12]” innescato da certi interventi, vengono gradualmente sostituiti da nuovi residenti, più benestanti. Per i vecchi residenti ci sarà un altro ghetto spersonalizzante dove poter (soprav)vivere in attesa della successiva gentrificazione!

Chi altro beneficia di questa sottocultura radical-chic?

Grazie al crescente interesse per queste manifestazioni pseudo-artistiche, dove forse solo l’1% risulta degno di nota, sono nate delle agenzie che promuovono tours alla scoperta della street art[13] per la “modica” cifra di € 10 a persona!! Ovviamente, nulla di questi introiti va a migliorare le condizioni urbanistiche, architettoniche, igieniche, sociali, ambientali, economiche, ecc. dei residenti dei quartieri “fumettizzati” … non sarebbe dunque ora di smetterla di prendere in giro chi sia costretto a vivere in quartieri e case al di sotto dei limiti della decenza? Non sarebbe ora di investire del denaro per poter realmente migliorare la vita di chi, come unica colpa, abbia quella di non aver potuto permettersi un luogo migliore in cui vivere?

Murales di Hitnes al Quartiere San Basilio di Roma … guardando questa foto, basta porre attenzione a quelle che siano le condizioni dei marciapiedi, delle strade interne e del verde, per poter comprendere quali “immensi benefici” possano aver ricevuto i residenti da queste pitture fumettistiche.
Altri murales di San Basilio a Roma, stesse considerazioni.
Murales di Alice Pasquini al Quadraro di Roma … anche in questo caso, si ponga attenzione allo stato in cui versa il marciapiede per comprendere il valore “rigenerativo” della pittura.
Murales al quartiere “Trullo” di Roma … c’è qualcuno in grado di poterlo definire una riqualificazione urbana?
15 Biennale di Architettura di Venezia – pannello dedicato ai murales del quartiere Tormarancia di Roma … i venditori di fumo (è davvero il caso di dirlo) non mancano mai!!

Patetico murales realizzato dallo street artist “Mister Thoms” sulla facciata del parcheggio multipiano antistante la stazione ferroviaria di Colleferro. Di quest’opera il sindaco Sanna ha detto: «Il lavoro è frutto di una precisa volontà di migliorare la città in ogni suo ambito, quindi anche quello artistico e culturale e renderla più vivibile e umana. […] Spesso Colleferro è stata vista solo come la città dell’inquinamento, ecco perché l’opera di Mister Thoms, rappresenta il desiderio dell’artista e dei cittadini di riscattarsi dal grigiore e da una visione negativa, della città. Colleferro è sì una città a vocazione industriale, ma dentro di essa pulsa un cuore verde che batte per un futuro pieno di colore e vitalità. L’arte è di certo un mezzo efficace per realizzare questo nostro obiettivo» … Che dire, se questo è il modo di mostrare il proprio “cuore verde”, non meravigliamoci se, presto, a Colleferro fioriranno alberi di plastica!
[1] Le Corbusier, ne “La Ville Radieuse” sosteneva: «Le città saranno parte della campagna; io vivrò a 30 miglia dal mio ufficio, in una direzione, sotto alberi di pino; la mia segretaria vivrà anch’essa a 30 miglia dall’ufficio, ma in direzione opposta e sotto altri alberi di pino. Noi avremo la nostra automobile. Dobbiamo usarla fino a stancarla, consumando strada, superfici e ingranaggi, consumando olio e benzina. Tutto ciò che serve per una grande mole di lavoro … sufficiente per tutti».

[2] Andrea Sciascia, Tra le Modernità dell’Architettura – la questione del Quartiere ZEN 2 di Palermo, L’Epos Edizioni, Palermo 2003.

[3] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2018/07/02/rigenerazione-urbana-sostenibilita-diffidare-dei-mistificatori-della-realta/

http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/12/15/recupero-delle-periferie-solo-bugie/

[4] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2018/06/17/periferie-e-degrado-per-i-veri-responsabili-la-colpa-e-sempre-degli-altri/

http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/06/28/periferie-griffate-quando-il-cattivo-esempio-viene-dallalto-le-ragioni-della-difesa-dellindifendibile-da-parte-del-mondo-accademico/

[5] http://ilgiornaledellarchitettura.com/web/2016/02/09/ri_visitati-corviale-ultima-chiamata/

[6] http://urloweb.com/municipi/municipio-viii/l-arte-di-strada-come-strumento-di-rigenerazione-urbana/

[7] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/08/17/leggere-la-citta-attuale-per-disegnare-quella-futura-sequenze-urbane-di-roma-2/

[8] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/06/24/centri-commerciali-no-grazie-e-sono-gli-americani-a-ricordarcelo/

[9] http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/manchester-amore-39-royal-air-force-39-britannica-scrive-148570.htm

[10] https://www.boredpanda.com/before-after-street-art-boring-wall-transformation/

[11] http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/li-chiamavano-graffiti-street-art-dopo-essere-entrata-pieno-titolo-120242.htm

[12] http://www.treccani.it/enciclopedia/gentrificazione_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/

[13] https://spettacoliecultura.ilmessaggero.it/roma/la_street_art_roma_attraverso_un_tour_mostra-1495723.html

13 pensieri su “Street Art e Rigenerazione Urbana … una scomoda verità

  1. “Premetto che io sono contro il degrado e a favore della libertà di esprimere la propria creatività essendo architetto e disegnatore; e premetto anche che la pittura murale è certamente differente dai graffiti vandalici per i quali c’è una legge che contrasta i writers, colti in flagranza di reato: lo so, ci sono molti graffiti e murales nel mondo e il graffitismo (in inglese Street art), è una manifestazione sociale, è un fenomeno, e infatti, ormai ovunque fanno questo tipo di pitture e le chiamano “riqualificazioni”, ma di che? La pratica dei murales è percepita dalla società come una vera e propria piaga: attività di chi lede o deturpa o imbratta… bla, bla, bla, …, ma secondo me c’è una differenza tra i writers “colti” in “fragranza” di “arte” e i writers “colti in flagranza di reato”, e allora essendo a conoscenza che non siamo nel caso di vandalismo, bensì nel caso di un murales che viene finanziato e dipinto contro il degrado per “riqualificazione urbana” mi chiedo: <> Beh! E’ un po’ dozzinale come intervento di riqualificazione. È come fare una chirurgia plastica facciale a una persona che ha il cancro dentro il corpo, affinchè lo nasconda bene in pubblico. Preferisco i muri bianchi e ben tenuti. Per fare riqualificazione urbana ci vuole ben altro! Ma non c’è cultura… perdonatemi, tutto sta diventando una barzelletta e una pacchianata. … l’area storica va riqualificata ma sul serio e non con le pacchianate… Non va bene. … Per favore, facciamo in modo che … non si continui a imbrattare tutti i muri … c’e’ davvero un bisogno atavico di consolidamento, recupero, restauro e conservazione.”

  2. sottoscrivo su tutta la linea…a proposito di chilometri verdi e amenità varie: venite a vedere che fine hanno fatto i c.d. spazi da dedicare alle attività commerciali nei grandi agglomerati di cemento. A Roma, in viale Ballarin, nella “Corviale di lusso” di 500 metri e 520 famiglie e nella vicina via Cesarini, hanno realizzato il piano commerciale in modo che questo non possa essere raggiunto dai mezzi così da impedire rifornimenti di qualsiasi merce. Quando si dice, la lugimiranza dei progettisti! Non sarà la legge del famoso asilo nido? Ovvero i costruttori, quali oneri di urbanizzazione, danno il “contentino” alla gente, facendole sognare il proprio sgangherato quartiere come l’eden. Ma non abbiamo più la sveglia al collo e l’orecchino al naso così, neanche la pillola indorata della sedicente “street art”, meglio qualificabile come vano arredo urbano, non ha nessun significato quando si lasciano i costruttori indisturbati a violentare i quartieri.

  3. ho condiviso sulla mia pagina FB il suo articolo davvero molto interessante ed esprime in pieno ciò che ho sempre pensato. in questo Paese chiamiamo sempre le cose con nomi diversi, conferendo significati fuorvianti e del tutto errati. Succede perchè siamo un popolo di ignoranti e creduloni.
    è un po’ estremo come punto di vista eppure c’è del vero: non si può chamare RIGENERAZIONE URBANA un semplice intervento di DECORAZIONE. Sicuramente la rigenerazione urbana passa anche attraverso l’abbellimento e la decorazione delle facciate, ma è solo una piccola parte del processo.

  4. La Street art, la rigenerazione urbana… le ultime vittime dell’Ideologia. O le ultime carnefici della città ? Comunque la patologia dell’ideologizzare.

  5. Mi pare che la moda della “decorazione artistica” degli edifici faccia il paio con quella delle bizzarrie formali degli archistar alla Ghery, Hadid, Libeskind, Kolhaas & Co., i primi in modo “virtuale”, i secondi in modo “materiale”, ma entrambi in modo autorialmente autoreferenziale indifferente a funzione e contesto: l’esatto opposto di una “architettura della città”.

    1. In ambedue i casi assistitiamo ad un posizionamento attento ai gusti del “mercato”. E forse il problema profondo è proprio questo, la filosofia che lo anima ha qualcosa di rozzo e brutale come i tempi in cui è nata.

      1. Ci sono infatti cose che non possono rispondere alle leggi del mercato, non del tutto almeno, o non subito visto che in un modo o in un altro esiste sempre una domanda e un’offerta. La maggior parte di ciò che è stato innovativo e di grande valore, non è stato prodotto pensando al successo di mercato, magari lo è diventato, prima o poi. La maggior parte.

  6. Sì, appunto, il problema vero è sempre il solito, ovvero che i palazzi e le urbanizzazioni moderne sono orribili, anzi antropologicamente rivoltanti, rispetto a quelle di una volta… e questa cosa non la risolvi con la street art, ma con la politica… anzi, prima ancora, con l’educazione… e qui si apre un fronte di vasta portata.

    Fossi il primo ministro, ti affiderei un dicastero adeguato, ma purtroppo non lo sono… ;-)))

  7. Qualcuno ha anche avuto il coraggio di imbrattare i muraglioni del lungotevere.
    Però poichè aveva un cognome foresto ed una limitata preparazione culturale è stato non solo promosso artista sul campo ma ne è stato consentito l’abuso, tra il tripudio degli artisti nostrani che, si piccano di essere molto “intevnazionali”.
    E’ stato come come ( …e qui non vorrei dare un’idea…) se qualcuno decidesse di rendere meno brutale il Muro del Pianto e lo decorasse con qualche menorà cubitale, od altra sciocchezza di pari gravità.
    Uno dei problemi è, quindi, che raramente si discerne tra muro e muro…una paratia di calcestruzzo lungo uno svincolo vale i muri del Quirinale o del Pincio ….il muro, oggi, è sempre negativo perchè lo si vede come un ostacolo, quando si dovrebbe anche poterlo considerare come una risorsa, una protezione .
    Se il muro ha avuto la sventura di essere eretto durante la cupa dominazione della borghesia o del fascismo (.. aggettivate .” italiote”… naturalmente …) le cose si aggravano.
    Fanno, per fortuna, eccezione le mura difensive delle città in quanto hanno, per proprietà transitiva, preso un pochino del fascino delle città che difendevano. Ma solo perchè se ne vede la tessitura….
    Immaginatele intonacate e finite a lavabile per esterni da capo a fondo come l’Ara Pacis Meier e la tristezza vi assalirà.
    Certe nude facciate ad intonaco abbisognavano forse di una minima scanditura….forse riprendendo un’immaginaria trama od intenzione costruttiva, anche a rischio di essere considerata falsità palese e spesa inutile.
    Tuttavia Il muro è l’essenza della costruzione !… che senza muri non esiste è una pensilina …copertura… cappello..aria che circola…
    Fare bene un muro, poi , è cosa di cui oggi non vale la pena di occuparsi anche se per secoli si sono sforzati di trovare tutte le variabili possibili dell’apparecchio murario…a seconda del materiale disponibile o della preparazione del mastro …del “muratore”. Quando qualcuno preso da uno scrupolo ineffabile si occupa della trama viene regolarmente ed artatamente soppressa la materia. Abbiamo così murature alla fiamminga ma con mattoni lisci color mortadella o peggio.
    Saluto

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