Supermercato al Castello: Riflessioni dopo il Parere dell’Avvocatura Comunale ecc.

Il Castello di Barletta

Nei giorni scorsi, dopo una lunga attesa, l’Avvocatura Comunale di Barletta si è finalmente espressa sulla vicenda relativa al Permesso di Costruire in Sanatoria n. 39/18 relativo alle volumetrie abusivamente realizzate in prossimità del Castello di Barletta[1].

Le associazioni spontanee di cittadini, dopo aver ascoltato il sindaco annunciare l’esito del riesame della documentazione da parte della commissione dell’Avvocatura, hanno manifestato sui social la propria gioia.

Chiediamoci però: è lecito gioire? Non sarebbe più opportuno comprendere le ragioni per cui l’Avvocatura ha limitato la sua “opera demolitoria” al “2° condono”, lasciando così sottintendere che il 1° condono risulti legittimo? Quali sono le possibili conseguenze che si prospettano all’orizzonte?

L’Avvocatura ha di fatto scritto: «[…] in relazione ai fatti del procedimento, anche per ragioni di urgenza, prospettate da parte dell’amministrazione, che non permettono l’analisi puntuale di tutta la documentazione allegata alla domanda originaria di condono e di quella successivamente intervenuta nella vicenda, si mutuerà la ricostruzione procedimentale resa da parte del Settore Edilizia Pubblica e Privata nella nota del 15.04.2021».

La fretta, si sa, è cattiva consigliera, tuttavia un parere incompleto può, specie in questo caso, causare passi sbagliati nel prosieguo della vicenda, per esempio nella valutazione dei parametri per l’acquisizione del terreno al fine di realizzare il parco tra il Castello e il mare.

Se l’istanza più recente può attendere, un parere completo e inoppugnabile non può sottovalutare alcuni passaggi precedenti il 2° condono che, se fossero stati affrontati correttamente all’epoca dei fatti, mai e poi mai saremmo giunti alla situazione attuale.

Infatti, semplicemente analizzando i moduli del condono del 1985/86, ci si sarebbe accorti che l’istanza originaria andava rigettata a causa della incompletezza della documentazione e, soprattutto, a causa della presenza di dichiarazioni non veritiere.

Per esempio, nel Modulo 47/85 D , Sezione Prima – Lettera “C” “Vincoli”, risulta barrata la casella “NO”; mentre alla Lettera “G” “Disponibilità all’uso”, è riportato che gli immobili fossero “agibili” al 1° ottobre 1983 … mentre sappiamo che l’Agibilità/Abitabilità è stata (irregolarmente) riconosciuta solo nel 1998.

Nello stesso modulo, nella Sezione Seconda, “Opera oggetto di Sanatoria – Notizie Particolari”, Lettera “d”, viene indicata una attività “industriale/artigianale” e “commerciale” mentre, alla lettera “e” viene specificato che l’immobile risulta accatastato come D1 (Opifici)[2].

Nella Sezione 3, “Calcolo dell’Oblazione”, Lettera “A” – “Misura dell’Oblazione”, è stata indicata una “Tipologia di Abuso 2”, ovvero di un cosiddetto “abuso formale”, vale a dire “opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore delle nuove norme sul condono edilizio» … una dichiarazione non veritiera – ergo invalidante l’istanza – che ha consentito  ai richiedenti di poter indicare una oblazione pari a £ 12.500/mq, invece che £ 18.000/mq.

Questa errata indicazione si aggrava laddove, alla lettera “B”, “Superfici delle opere da sanare relative a:” è riportato 2) “Attività Industriale/artigianale”, mq 1.225, il che ha consentito, alla lettera “C” “Calcolo dell’Oblazione”, “Misura dell’Oblazione e Coefficienti Correttivi” di poter beneficiare di un ulteriore, indebito sconto, grazie all’indicazione: 8) Attività industriale e artigianale (moltiplicare l’importo di rigo 1 per il corrispondente coefficiente riportato nelle istruzioni), che ha consentito di ridurre l’importo – già errato in partenza (12.500 invece di 18.000) – a £ 8.250/mq.

A tal fine occorre ricordare il “candore” della dichiarazione dall’avvocato dei richiedenti il quale, in occasione della richiesta di “correzione” del P. C. in Sanatoria, dovendo sostenere la tesi dell’errore di destinazione d’uso contenuto in quel documento, dichiarò apertamente che “i richiedenti non hanno mai prodotto alcunché, avendo esclusivamente esercitato in quei luoghi una attività commerciale” …

Una dichiarazione del genere equivale a ritenere i dati del Modulo 47/85 D non reali e meramente indirizzati ad ottenere uno sconto nella sanzione, cosa che, se approfondita dall’Avvocatura, avrebbe portato a ritenere l’istanza irregolare, ergo da rigettare.

A queste irregolarità di compilazione del modulo –che sembrano lucidamente calcolate, anche in riferimento alla sottolineatura fatta, successivamente, dal responsabile comunale Gianferrini in occasione del diniego alla “rettifica di sanatoria” – deve aggiungersi l’assoluta irregolarità dei pareri della Soprintendenza che, nella loro superficialità, non hanno minimamente considerato il “MONITO A VITA” espresso dall’ex Soprintendente Mola nel 1975.

Questa considerazione infatti, da sola, basterebbe a far ritenere irregolare anche il 1° Condono, facendo crollare tutto il castello venuto dopo, inclusa la compravendita recente, quando ai notai della Lidl sembra essere sfuggita questa infinita serie di irregolarità che avrebbero impedito di rogare.

Ma veniamo a oggi. L’Avvocatura sostiene di «non essersi incentrata sulla successiva attività amministrativa, che prende avvio dalla richiesta del 27/02/2019, prot. n. 13578, rivolta dai privati al SUAP ed al contempo al Settore Edilizia, relativa al rilascio dell’atto endoprocedimentale, strumentale all’ottenimento dell’Atto Autorizzativo Unico (PAU), ai sensi del D.P.R. n. 160/2010 ed involgente la realizzazione di interventi di recupero del plesso sito in via Cafiero 8, finalizzati all’apertura di un esercizio commerciale riconducibile, per tipologia dimensionale, ad una media struttura, del tipo “M2, per la vendita di prodotti alimentari e non alimentari».

L’esercizio commerciale originario e quello previsto dalla Lidl, infatti, cozzano gravemente con la tipologia consentita, il che rafforza l’assurdità del parere della Soprintendenza e dei permessi rilasciati!

Il carico del traffico veicolare e dotazione minima di parcheggi di queste due attività – comunque ambedue già contrastanti con le previsioni del PTPR – necessitava, lo vedremo, di un approfondimento specifico prima del rilascio del parere paesaggistico! Mi permetto di dire che, che anche su questi aspetti, il parere dell’avvocatura avrebbe dovuto approfondire.

Come ricorda il parere dell’Avvocatura: «in data 28/06/2005, al termine dell’istruttoria e dell’assunzione dei pareri favorevoli (in particolare il nulla osta della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Province di Bari e Foggia, n. 4245 del 17/06/2005) e della documentazione integrativa richiesta, venne rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 521, riferito alla “Costruzione capannoni, in ampliamento di altri preesistenti ad uso industriale/artigianale, per una superficie utile di mq. 1.390,09, […]»” … ma non erano 1.225,00?? …

Quante altre irregolarità occorre trovare per poter definire il 1° condono un documento irregolare??

Non ripeterò la ricostruzione cronologica dei fatti già riportata nel precedente articolo[3], ma mi soffermerò sul fatto che l’Avvocatura, nel narrare i fatti, abbia specificato che: «con provvedimento dell’11/09/2018, prot. n. 65116, il Dirigente disponeva la revoca del permesso di costruire in sanatoria n. 521/05, del 28/06/2005 e, in data 05/10/2018, prot. n. 72960, lo stesso organo comunicava gli importi dell’oblazione definitiva e del contributo di costruzione, derivanti dalla nuova rappresentazione delle superfici oggetto di richiesta di condono».

In pratica si parla di una revoca, piuttosto che di un annullamento, e si ricorda che il Comune nel 2018, in assenza di nuove leggi che riaprissero la possibilità di condono edilizio, decise di limitarsi a chiedere di pagare una differenza sul costo dell’oblazione e contributo di costruzione relativo alle NUOVE superfici (1.309,09 invece di 1.225,00), sorvolando su tutte le dichiarazioni non veritiere, sulle certificazioni irregolari, sull’esercizio di un’attività durata 46 anni in assenza di regolarità e, soprattutto, non accorgendosi che, nei pareri paesaggistici, non solo fosse stata ignorata la corrispondenza epistolare – culminata nella comunicazione irrevocabile del Soprintendente Mola – ma fosse stata totalmente sottovalutata, se non addirittura ignorata –  la differenza di peso veicolare dell’attività commerciale rispetto a quella industriale/artigianale per la quale era stata chiesta la sanatoria … un qualcosa che risulta in gravissimo contrasto con le previsione di PTPR e la sbandierata “mobilità sostenibile”.

Ebbene, chiarito il perché, considerate le irregolarità, l’istanza di condono fosse da rigettare a priori, a questo punto occorre chiarire ulteriori aspetti riguardo il rilascio della sanatoria.

Come ricordato infatti anche dall’Avvocatura,l’art. 13, comma 1, della L. n. 47/1985 consentiva: «[…] il responsabile dell’abuso può ottenere la concessione o l’autorizzazione in sanatoria quando l’opera eseguita in assenza della concessione o autorizzazione è conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda».

Nel caso in oggetto, lo abbiamo ripetuto all’infinito, l’opera non è assolutamente conforme alle previsioni del PTPR e, soprattutto, non risulta conforme alle indicazioni della Soprintendenza in materia di Vicolo Paesaggistico e non è compatibile col vincolo stesso.

Ma c’è di più, molto di più, ed è per questo che ritengo necessario, a tutela del Comune, che venga riconosciuta l’assoluta illegittimità anche che primo condono edilizio.

Come infatti ricorda l’Avvocatura, l’art. 7, della L. n. 47/1985 recitava: «[…] Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune». 

Considerando infatti che questa specifica condizione si sia già ampiamente verificata, in occasione delle ordinanze di demolizione ignorate – che peraltro portarono i proprietari ad esser denunciati presso le Autorità Giudiziarie – le aree dovrebbero risultare già di proprietà Comunale, senza necessità di perequazioni … una bella differenza da mettere sul tavolo delle trattative in corso con la Lidl che, semmai, dovrebbe ricercare nei suoi notai e/o nei venditori i responsabili cui chiedere il rimborso dei danni patiti a seguito di questa vicenda.

Se mai si volesse far riferimento a norme più recenti, la norma contenuta nella 47/85 risulta esser stata confermata dall’art. 36, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001: «[…]  il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda».

Mentre l’art. 31, comma 3, ribadisce: “Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune».

Ne consegue che, una volta mutata la legge, l‘ingiunzione di demolizione – mai cancellatanon è mai stata osservata nei tempi previsti (90 gg), facendo sì che i terreni e manufatti di via Cafiero 8 avrebbero dovuto essere acquisiti di diritto, gratuitamente, dal Comune.

Va inoltre sottolineato che, nel lasso di tempo intercorso tra le indicazioni della 47/85 e il 380/01, c’è stata una ulteriore normativa in materia di condono edilizio, la 724/94 che, però, non venne presa in considerazione dai proprietari per provvedere alla regolarizzazione dei propri immobili ancora irregolari: grazie all’inerzia del Comune di Barletta – cui evidentemente faceva piacere “farsela fare sotto il naso” –  essi si erano, giustamente, cullati.

Occorre a tal proposito far notare che, considerando che la Legge 724/94 (che dava dei tempi specifici entro i quali sarebbe stato possibile sanare – sempre se ce ne fossero state le condizioni – gli immobili abusivi, includendo la possibilità di chiedere il rilascio del condono per le pratiche già istruite nell’85-86 e non concluse), si deve ritenere che i proprietari, chiaramente consapevoli della impossibilità di sanare quegli immobili, preferirono “non risvegliare il cane che dorme“, perdendo così il 2° treno per la sanatoria.

Stessa cosa dicasi per il condono del 2003 (Legge 326/2003).

Il comma 27 dell’art.32 di questa Legge, nell’individuare sette ipotesi di opere abusive che non sono comunque suscettibili di sanatoria straordinaria, alla “Lettera “D” chiariva «l’impossibilità di sanatoria straordinaria per opere “realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici».

La data ultima per la presentazione dell’istanza con questa legge, lo ricordo, era il 31/03/2004.

Alla luce di questo preciso testo di legge viene da chiedersi sulla base di quale norma possano essersi espressi i tecnici comunali e quelli della Soprintendenza. … E perché??

Veniamo quindi ad oggi e all’altro atto scriteriato sul quale il Comune e ha molto da dover spiegare, soprattutto a se stesso, per non commettere un clamoroso autogol al 90° minuto!

Qualcuno, nel considerare gli immobili oggetto della sanatoria contestata, distingue tra quelli “sanabili” e “non” sulla base di ciò che risulti documentabile al 1° ottobre 1983 e ciò che risulti esser nato successivamente.

A mio avviso, però, non risulterebbero sanabili nemmeno quelli, date le irregolarità nella presentazione della domanda e, soprattutto, a seguito del documento inviato dal Soprintendente Mola nel 1975.

Inoltre, come si è avuto modo di spiegare, ai sensi del’art.13 della 47/85, della Legge 724/94 e della Legge 326/03, considerando il vincolo paesaggistico presente sull’area, nonché i reiterati inviti a procedere alla demolizione – mai purtroppo messi in atto dagli amministratori democristiani dell’epoca – NULLA RISULTEREBBE CONDONABILE!

A questo aggiungasi che, indipendentemente dalla mia interpretazione dei fatti da quella di altri illustri colleghi che hanno verificato attentamente le pratiche addivenendo alla possibilità di riconoscere come condonabili 1.255,52 mq (a fronte dei 1.225 richiesti, magicamente divenuti 1.390,09), la consistenza complessiva, ancor più magicamente condonata nel 2018, è oggi divenuta pari a 3.338,93 mq.

A questo punto, messo da parte tutto il discorso fatto sulla irregolarità dei Permessi di Costruire in Sanatoria, prendiamo in esame l’Atto Autorizzativo Unico “[…] finalizzato all’apertura di un esercizio commerciale riconducibile, per tipologia dimensionale, ad una media struttura, del tipo “M2, per la vendita di prodotti alimentari e non alimentari che, giustamente, viene contestato da chi lo sta confutando poiché sembrerebbe trattarsi di una struttura commerciale di tipo M1.

Da quanto ho potuto verificare, nella realtà dei fatti ci troviamo davanti a qualcosa il cui peso urbanistico risulta decisamente maggiore: Stando alla L.R: 11/2003, il tipo di attività commerciale in oggetto risulterebbe infatti G1 (Grandi Strutture inferiori) che contraddistingue le attività commerciali con superficie compresa tra 2501 e 4500 mq!

Per questo tipo di struttura commerciale, infatti, l’art. 13 (Dotazione aree di parcheggio) della stessa Legge indica:

«La dotazione di aree private destinate a parcheggio è stabilita dal provvedimento di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), tenendo conto della dimensione, del settore merceologico e della tipologia insediativa nonché delle specificità dei centri storici e delle zone urbanizzate.

I requisiti relativi alle aree destinate a parcheggio devono sussistere anche a seguito di modifiche della superficie di vendita, a qualunque titolo intervenute. Il venire meno di tali requisiti determina la revoca dell’autorizzazione commerciale».

La nota è importante perché, spesso, si riceve un’autorizzazione commerciale per una determinata superfice ma, in corso di esercizio, quella superficie cambia drasticamente.

La normativa nazionale indica, per questa attività, un valore non inferiore a 1,5 mq di parcheggio per ogni mq di superficie commerciale che, in alcuni casi, arriva a 2

Ebbene, il Documento strategico del Commercio Barletta riporta una inequivocabile tabella degli standard a parcheggio, relativi alle medie strutture, previsti dall’art. 2, comma 2 del Regolamento Regionale n°11 del 10 settembre 2018, pubblicato sul BURP n. 119 del 14.09.2018:

Standard pertinenziali per medie strutture, per ogni mq. di superficie di vendita:

 Mq. 251-600Mq. 601-1500Mq. 1501-2500
Alimentare e misto0,7 mq.1,0 mq.1,5 mq.
Beni persona0,5 mq.0,8 mq.1,0 mq.
Altri beni e beni a basso impatto0,4 mq.0,5 mq.0,8 mq.

Considerata la dimensione della struttura di cui al progetto della Lidl, pari a mq. 3.338,93, si deve supporre che la dotazione minima di area da destinare a parcheggio – come avviene in altre realtà italiane – debba salire a mq. 2.0 per ogni metro quadro di superficie di vendita, a fronte della dotazione richiesta invece per industria/artigianato, (come in origine) che prevede una dotazione pari a mq. 0,8 per ogni metro quadro di superficie destinata a quell’attività!

In pratica l’attività commerciale prevista per il supermercato Lidl dovrebbe essere compresa tra mq. 5.075,89 e 6.767,86, a fronte di una superficie, per attività industriale/artigianale di 2.707,14

Questa immane differenza fa sì che il parere paesaggistico rilasciato, in occasione del 2° condono e, peggio ancora, le autorizzazioni n°759/2020 della Soprintendenza e quella Paesaggistica n°9/2020 del Servizio Paesaggio Comunale, rilasciate in occasione dell’Atto Endoprocedimentale n°18/2020 per la “Realizzazione di interventi di recupero e riqualificazione del plesso commerciale”, risultino assolutamente inaccettabili, perché, oltre a non aver minimamente tenuto conto delle previsioni di PTPR, esse non hanno nemmeno considerato l’aumento esponenziale del volume di traffico e di dotazione di parcheggi, estremamente più impattante, a livello paesaggistico-ambientale, rispetto alla destinazione originaria.

Risulta infatti inspiegabile:

  • Che la Soprintendenza, nella nota prot. N°1008 del 03/01/2020, possa aver affermato: «Considerato che la verifica condotta da questa Soprintendenza sui lavori in oggetto ha rilevato che l’intervento […], risulta compatibile con i vincoli paesaggistici presenti sull’area e con il contesto dello stato dei luoghi; Tutto ciò sopra premesso, questa Soprintendenza, per quanto di sua stretta competenza, rilascia parere positivo nel merito della compatibilità paesaggistica delle opere proposte […]».
  • Che nell’Autorizzazione ai sensi dell’art. 21 dlgs 42/2004, prot. n. 759 del 27.01.2020, la Soprintendenza abbia affermato: «questa Soprintendenza, per quanto di sua stretta competenza, considerato che l’intervento proposto è da ritenersi ammissibile in rapporto alle disposizioni del vigente Dlgs n. 42/2004, AUTORIZZA l’esecuzione dei lavori in oggetto […]».
  • Che l’Autorizzazione Paesaggistica, ai sensi dell’art.An.146 dlgs 42/2004 – art. 90 NTA PPTR, n°09/2020 parli addirittura di «lavori di ristrutturazione edilizia […], a destinazione commerciale, di preesistenti volumetrie attraverso una qualificazione ambientale e paesaggistica dell’intero lotto […]»

Onestamente infatti, diviene davvero difficile comprendere a quale normativa questi funzionari possano aver fatto riferimento per arrivare a determinate conclusioni.

C’è da chiedersi se essi abbiano rilasciato le autorizzazioni grazie alla semplice lettura di qualche tipica “parolina chiave” mirata ad intenerire i loro cuori – tipo “sostenibile” e “rigenerazione” – piuttosto che dopo un’attenta analisi del progetto in relazione alle specifiche condizioni dei luoghi.

Sarò strano e me ne scuso, ma per me è difficile comprendere come la presenza di un’attività del genere,il cui peso di traffico veicolare e dotazione minima di parcheggi risultano mostruosamente impattanti e irrispettosi del vincolo paesaggistico – oltre che del famoso “veto a vita” posto nel 1975 dall’ex Soprintendente Mola – possa addirittura definirsi una qualificazione ambientale e paesaggistica dell’intero lotto!


[1] https://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2021/04/18/sulla-vicenda-del-castello-normanno-svevo-angioino-aragonese-lidl-di-barletta/

[2] https://www.likecasa.it/categoria-catastale-d1/12244#Categoria_catastale_D1_cosa_significa

[3] https://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2021/04/25/approfondimento-sul-con-dono-del-supermercato-presso-il-castello-di-barletta/

Un pensiero su “Supermercato al Castello: Riflessioni dopo il Parere dell’Avvocatura Comunale ecc.

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