New Towns di L’Aquila: Case antisismiche o autodistruggenti?

Quali altre umiliazioni e sofferenze dovrà ancora subire il popolo aquilano per colpa di chi, oltre ad aver agito in maniera dittatoriale – imponendo le cosiddette “New towns” che nessuno voleva piuttosto che ricostruire subito la città – lo ha fatto realizzando le nuove case in maniera cialtrona?

Tutti ricorderemo quel terribile 6 aprile 2009, e tutti ricorderemo come, nonostante la gente implorasse a gran voce la ricostruzione immediata delle case che aveva perso, le più alte cariche dello stato decisero di realizzare altrove, su terreni inedificabili, delle immonde porcherie spacciate per case antisismiche di ultima generazione.

Ciliegina sulla torta dell’immane spreco di denaro del 2009, fu il trasferimento a L’Aquila del G8 … dopo che il Paese aveva già speso una barca di soldi per la sede iniziale alla Maddalena!

In quell’estate del 2009, grazie a questi due eventi, l’allora premier Silvio Berlusconi e il suo fidatissimo ministro delle Finanza Giulio Tremonti poterono finalmente, con i nostri soldi, dimostrare a tutti gli italiani ciò che andavano predicando da tempo: è cosa buona e giusta indebitarsi per potersi godere la vita e vivere al di sopra delle proprie possibilità (criterio preso in prestito dalla politica economica Reaganiana a partire dal 1981). … Nel frattempo gli aquilani, in una delle tante proteste pacifiche contro le “New Towns”, prevedendo il passaggio di Obama, posizionavano sulla collina di Roio la scritta “yes we camp”, sì che risultasse leggibile dall’autostrada!

“Yes we camp!” è la grande scritta di protesta, con lettere di plastica, apparsa sulla collina di Roio, L’Aquila. E’ un’iniziativa di alcuni comitati cittadini delle aree terremotate che riprende il motto di Obama “Yes, we can!”

Il 3 aprile 2016[1] – ma la cosa era già avvenuta in precedenza – un balcone del quartiere di Cese di Preturo, (una New Town Berluscon-Bertolasiana), si è staccato cadendo su quello sottostante. Fortunatamente non è morto nessuno … tranne la speranza dei residenti di poter credere di vivere in un luogo sicuro!

Il balcone crollato il 3 aprile 2016 nel quartiere di Cese di Preturo

Ad un anno abbondante dall’accaduto (di cui non si era più parlato), ieri Il Fatto Quotidiano[1] ci ha informato dell’ennesimo disastro relativo a quelle “case sicurissime” … il tutto mentre la ricostruzione del centro storico aquilano risulta ancora una chimera!

Senza voler entrare nel merito dello squallido scaricabarile tra il sindaco Cialente e l’ex capo della Protezione Civile Bertolaso, non posso evitare di indignarmi nell’apprendere che, ad 8 anni dal terremoto, il 31 maggio ben 24 famiglie hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni e altre 70 dovranno seguirle entro fine giugno!!

La ragione della nuova deportazione delle famiglie terremotate è dovuta all’imminente rischio di crollo di interi condomini. A quanto pare, si prospetta l’esigenza di abbattere alcuni di quei 19 quartieri costruiti spendendo oltre 1 miliardo di Euro pubblici!!! Di quel miliardo e passa, 350 mln erano stati dati dalla Comunità Europea in qualità di “alloggi temporanei” … e già, perché all’Europa e all’Italia piace applicare il modello consumista usa e getta anche per le case, mai sia puntare all’idea di un’architettura durevole!!

Le banche e i “furbetti del quartierino” ringraziano.

Per chi volesse conoscere l’elenco, drammatico, delle cose che stanno andando in pezzi, così i dettagli del vergognoso scaricabarile in corso, rimando al citato articolo de Il Fatto Quotidiano.

Visto il fallimento totale di queste case futuribili sicurissime, e in attesa che la giustizia possa far chiarezza condannando i responsabili – chissà perché mi viene di suggerire ai giudici di limitarsi condannarli a vivere agli arresti domiciliari all’interno dei loro amati edifici testé evacuati – vorrei ricordare ai responsabili di tutto questo che, piuttosto che ipotizzare la necessità giornaliera di reinventare la ruota, la conoscenza della nostra storia può dare grandi soluzioni! E non lo dico da “passatista”, come qualcuno in malafede potrebbe sostenere, bensì come qualcuno che possieda una visione meno ideologica della modernità, ovvero una visione in armonia con la massima di Edmund Burke: «una civiltà sana è quella che mantiene intatti i rapporti col presente, col futuro e col passato. Quando il passato alimenta e sostiene il presente e il futuro, si ha una società evoluta!»[2]

A tal proposito, per non farla troppo lunga, riporto di seguito un frammento di uno dei miei vari articoli pubblicati in occasione del terremoto di Amatrice[3]

Il 5 febbraio 1783, novant’anni dopo il drammatico terremoto che aveva raso al suolo l’angolo sudorientale della Sicilia, un nuovo sisma di proporzioni impressionanti devastò la Calabria borbonica, provocando oltre 50000 vittime.

In tale occasione venne elaborato un vero e proprio Manuale per la Costruzione Antisismica, il primo in Europa, basato sulla conoscenza delle tecniche più antiche. Evidentemente, nonostante l’età dei lumi, nessuno ebbe la presunzione di far derivare i propri meriti da se stesso, né si sentì la necessità di “essere modernamente proiettati nel futuro” per poter dimostrare di essere al passo coi tempi. Semmai si operò secondo quel concetto di società evoluta che, di lì a breve, avrebbe descritto Edmund Burke.

La lezione urbanistica della ricostruzione siciliana aveva fatto scuola, sicché anche in questo caso si seppe operare nel rispetto della sicurezza, ma anche del carattere e della storia dei luoghi. Le norme sulle altezze degli edifici e sul dimensionamento di strade e piazze, codificate per la ricostruzione di Catania prima (eruzione del 1669) e del Val di Noto (1693) poi, trovarono applicazione nelle ricostruzioni calabresi, come per esempio si può vedere nel Piano per la Ricostruzione di Palmi.

Piano per la ricostruzione di Palmi del 1783

La cosa più interessante del Manuale antisismico fu comunque la concezione strutturale degli edifici, la cosiddetta “casa baraccata borbonica”, un modello strutturale basato sull’antica tecnica dell’opus craticium romano (opera a graticcio) che, pur con murature relativamente leggere, consentiva agli edifici di collaborare in tutte le loro parti ai movimenti tellurici, garantendo stabilità e sicurezza.

Casa baraccata (1783), Progetto dell’arch. Vincenzo Ferraresi

L’idea venne all’ing. Francesco de la Vega studiando gli edifici che avevano resistito ai terremoti, per esempio il Palazzo del Conte Nocera a Filogaso (Vibo Valentia) che, costruito qualche anno prima del sisma, basandosi sull’antica tecnica visibile negli scavi di Ercolano, fu l’unico edificio di quella cittadina a rimanere in piedi dopo il devastante sisma.

La medesima tecnica, con piccole differenziazioni, si ritrova nella “gaiola pombalina” portoghese, nelle “himis” turche e nelle case al confine tra Armenia e Iran che continuano a dimostrare la loro incredibile resistenza a terremoti di violenza estrema come quello del 1999.

Turchia, “Himis” perfettamente sopravvissuta al sisma del 1999, a differenza del confinante edificio in cemento armato – Foto Credits: www.conservationtech.com Randolph Langenbach.

Anche l’edilizia veneziana, dovendo mostrarsi leggera ed elastica per poter rispondere alle continue ondulazioni del suolo su cui sorge, presenta una struttura a graticcio – nascosta dall’intonaco – con le cosiddette “reme”, che servono a distribuire equamente i carichi lungo tutte le pareti dell’edificio rendendolo stabile.

Purtroppo qui da noi in Italia, patria dell’opus craticium, continuiamo ad insegnare nelle università solo ed esclusivamente le strutture in cemento armato e/o in acciaio (queste ultime certamente più valide del primo) piuttosto che sistemi strutturali come quello della casa baraccata borbonica.

Sarebbe invece importantissimo rendere obbligatorio lo studio di quel Manuale Borbonico, specie perché nel 2013, in occasione del Convegno H.Ea.R.T, il CNR italiano e un team internazionale di esperti della materia, dopo aver costruito una parete rinforzata con una intelaiatura lignea basata sul modello settecentesco, l’ha sottoposta ad una serie di test sismici decretando questa tecnologia come la migliore attualmente conosciuta, proponendo di adoperarla, magari con dettagli costruttivi moderni da valutare, a tutte le nuove costruzioni.

Test antisismico eseguito in occasione del Convegno H.Ea.R.T. Foto Credits: www.conservationtech.com Randolph Langenbach

Le tecniche antiche adoperate in area sismica dalle quali avremmo tanto da imparare non sono però solo quelle della “casa baraccata”. Infatti, come egregiamente riportato nel Manuale per il Restauro del Centro Storico di Palermo dal compianto Prof. Marconi e dai suoi collaboratori, in passato chi costruiva (o rinforzava) le case in muratura, realizzava dei sistemi di incatenamento (a vista o nascosti) delle pareti e dei solai che hanno consentito agli edifici storici di giungere fino a noi in perfetto stato di conservazione.

Quel sistema di incatenamento con tiranti ortogonali e/o angolari, in ferro e/o legno, singoli o doppi e con fermagli semplici o a piastra, è tutt’oggi riscontrabile in tantissimi edifici che hanno resistito al terremoto di L’Aquila, oltre che in area siciliana e borbonica più in generale.

In tutta onestà dobbiamo riconoscere che la tecnica costruttiva tradizionale non sempre è perfetta, la sua qualità e resistenza dipende infatti dalla perizia di chi l’abbia realizzata. Molte delle case crollate negli eventi sismici recenti, come si è detto, son venute giù per essere state sovraccaricate e/o irrigidite con moderni stupidi interventi, tuttavia bisogna registrare anche il caso dei tanti edifici nei quali – per ragioni di economia o fretta – è stata impiegata una malta di pessima qualità.

Questo è per esempio il caso degli edifici abruzzesi per i quali, in occasione della ricostruzione successiva al terremoto del 1703, ispirandosi al sistema in voga in ambiente romano seicentesco, venne adoperato il fango come legante, ignorando la differenza tra un fango argilloso con potere legante come quello romano ed un fango vegetale senza alcuna capacità legante come quello aquilano.

Di fatto, però, le nostre città ci mostrano come l’edilizia realizzata dall’epoca comunale ai primi del Novecento, sia passata indenne alle violentissime sollecitazioni che ha subito nel corso dei secoli, dimostrando la sua assoluta stabilità e sicurezza. Il territorio italiano è ricco di edifici snellissimi e altissimi, come le torri bolognesi e senesi, torri che pendono a causa di cedimenti del terreno (Pisa, Bologna o Venezia per esempio) ma che, grazie alla perizia costruttiva, nonostante sembrino sfidare tutte le leggi della statica, resistono e mostrano tutta la loro bellezza.

Demonizzare un sistema costruttivo testato dai secoli non ha alcun senso, se non quello di favorire l’industria edilizia moderna che ha distrutto l’artigianato locale e il carattere dei luoghi.

Nel bene degli aquilani auspico che le New Towns vengano rase al suolo e che possano tornare a vivere nei luoghi dove sono nati e cresciuti. Quelle case distrutte dal terremoto e, soprattutto, dalle manomissioni, a differenza delle New Towns, non richiedevano, come lamentato da Bertolaso nel suo attacco a Cialente, una manutenzione annuale!

[1] http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/06/10/terremoto-laquila-il-miracolo-new-town-cade-a-pezzi-inagibile-un-alloggio-su-10-destra-e-sinistra-si-tirano-le-casette/3644073/

[2] P. Langford, The Writings and Speeches of Edmund Burke, Oxford, Clarendon Press 1981

[3] http://biourbanistica.com/it/blog/2016/8/31/il-cemento-e-il-terremoto-corruzione-e-menzogne-architettoniche/

[1] http://www.ilmessaggero.it/abruzzo/progetto_case_preturo_aquila_balcone-1645456.html

2 pensieri su “New Towns di L’Aquila: Case antisismiche o autodistruggenti?

  1. Ma che voi di ! Era scritto. Come so’ scritte tutte le cazzate urbanistico-architettoniche. So’ scritte nello spazio e se vedono. A dire il vero si vedono pure molto prima, quando si stima “l’investimento “.

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