Riflessioni preventive sul Concorso Internazionale per la Ricostruzione della Basilica di San Benedetto a Norcia

La Basilica di San Benedetto a Norcia prima del terremoto
La Basilica di San Benedetto a Norcia dopo il terremoto

Nell’ottobre del 2017, avendo letto le dichiarazioni di monsignor Renato Boccardo, Arcivescovo di Spoleto e Norcia, in merito all’ipotesi di ricostruzione della Basilica di San Benedetto, avevo scritto un appello affinché la follia autoreferenziale dei nemici del nostro patrimonio storico artistico venisse messa a freno.[1]

Successivamente, nell’aprile del 2018, l’ex (per fortuna) Ministro dei Beni Culturali Franceschini, apponeva la sua firma al decreto per la nomina del gruppo di indirizzo per la redazione del Bando di progettazione internazionale per ricostruire il simbolo di Norcia e dell’Europa[2].

Se da un lato possono esserci grandi speranze per la ricostruzione di quel simbolo, dall’altro, specie a causa delle inopportune e irresponsabili parole dell’Arcivescovo di Spoleto e Norcia, c’è l’incubo per un nuovo sfregio autoreferenziale.

L’arcivescovo infatti ebbe a dire: «Io rimango fermamente convinto della mia idea: ricostruire tutto come prima vorrebbe dire fare un vero falso, e la basilica già lo era, ne vale la pena? Il terremoto lascia un segno, non solo nelle persone, ma anche nei monumenti, negli edifici. Perché allora non collegare i pezzi rimasti della basilica con qualcosa di oggi? Si lascerebbe un segno nella storia, mostrando anche la capacità dell’uomo di oggi di ricostruire qualcosa di bello. Potrebbe diventare anche un’attrazione turistica. Bisogna portare avanti una riflessione aperta a tutte le idee».

Gli ultimi concorsi di architettura che hanno interessato delle preesistenze storico-monumentali hanno infatti dimostrato il totale disinteresse (dato dall’assoluta incapacità di confronto e dall’infinito egocentrismo) degli architetti nei confronti del bene di turno.

Rendering del progetto vincitore del Concorso per l’ampliamento del Palazzo dei Diamanti di Ferrara

Si pensi per esempio all’assurdo Concorso per il Palazzo dei Diamanti di Ferrara[3] ed alla ancora più assurda e vergognosa polemica, innescata dalla comunità degli architetti indignatisi davanti alla mobilitazione nazionale e straniera contro l’assurda proposta dei vincitori!

E allora, ribadendo quello che dicevo nell’articolo sul Palazzo dei Diamanti, e riprendendo un frammento delle deliranti parole dell’Arcivescovo chiedo: ne vale la pena?

Nel mondo politico è tutto uno sproloquiare retorico sull’importanza della “internazionalità e della partecipazione”. Il sindaco di Norcia avrebbe dichiarato: «San Benedetto è il Patrono d’Europa, certo, ma la Basilica è bene di Norcia e anche di tutta l’Italia. E allora l’Umbria va a caccia dei migliori progetti del mondoe poi, richiamando le parole dell’arcivescovo, ha ricordato che occorra «lasciare comunque una testimonianza della storia, perché il terremoto è storia, e dello scorrere del tempo». Fortunatamente, però, il sindaco ha anche tenuto a ricordare che «Questo è e deve essere un percorso partecipato, che dovrà dare conto di tutte le sensibilità», speriamo quindi che, davvero, tutte le sensibilità vengano prese in considerazione … piuttosto che, come di consueto in queste occasioni, solo quelle dei professionisti autoreferenziali ed irriverenti nei confronti dei luoghi, delle persone e della storia!

Per questa ragione ritengo necessario ricordare “gruppo di indirizzo per la redazione del Bando” che, in caso di tragedie come la guerra o gli eventi sismici, occorra innanzitutto ricostruire i simboli identitari dei popoli, superando l’ossessione, tutta moderna, di dover necessariamente lasciare un “segno del proprio tempo”!

Solo gli storicisti (cosa ben diversa dagli storici), possono infatti ritenere i linguaggi architettonici come un qualcosa da chiudere all’interno di cassetti preordinati per date e vietati da riaprire. Prima dell’ossessione “moderna” per lo zeitgeist (che in realtà maschera l’incapacità di relazionarsi col contesto e con la storia), gli stili e i linguaggi sono sopravvissuti per secoli nel rispetto delle tradizioni, dando origine al carattere identitario dei luoghi!

Per meglio chiarire l’importanza della ricostruzione fedele di un simbolo identitario distrutto, ritengo giusto ricordare ciò che ho avuto modo di scrivere in un saggio per la rivista Diònysos[4] intitolato “Architettura e Guerra”: “il protocollo dei signori della guerra è sempre lo stesso, dall’antichità ad oggi: […] Tutto questo, da sempre, ha comportato distruzioni e ammazzamenti e, soprattutto, ha comportato il tentativo di cancellare per sempre quella memoria in grado di risollevare l’amor patrio e l’orgoglio della gente”.

In quel saggio facevo riferimento anche ad uno dei testi più illuminanti che mi sia capitato di leggere quando ero studente, “Teoria e Storia del Restauro” di Carlo Ceschi, un libro che, mai come oggi, necessiterebbe di esser letto attentamente, specie da parte di quelle persone che, dovendo decidere il futuro della Basilica di San Benedetto a Norcia, necessiterebbero di mettere da parte la propria ideologia e, in nome della sbandierata “partecipazione”, ascoltare la vox populi, considerandola vox Dei!

Carlo Ceschi, restauratore e teorico del restauro negli anni più difficili della nostra storia, scrisse: «Le notti del 22 e 23 ottobre 1942 la guerra nella quale anche gli italiani si erano trovati coinvolti, ebbe una svolta decisiva.

In quelle notti iniziarono con Genova i bombardamenti aerei a tappeto che dovevano subito dopo ripetersi a Torino e Milano e via via intensificarsi per tutta l’Italia.

Da quelle notti chi come me si trovò a fronteggiare l’azione devastatrice della guerra sui monumenti, capì che le teorie del restauro, caute ed equilibrate, da pochi anni entrate nella pratica dei restauratori subivano un grave colpo, mentre si faceva drammatico il problema della conservazione delle vecchie città e dell’ambiente storico tradizionale».

Ebbene, stando alle dichiarazioni rilasciate a novembre 2018 da parte del Soprintendente speciale per le zone colpite dal sisma del 2016, Paolo Iannelli, «Il concorso internazionale sarà incardinato sul documento preliminare[5] per la progettazione degli interventi sulla Basilica di Norcia, […] che contiamo di aver definito in ogni sua parte entro i primi mesi del 2019, quando è quindi attesa la pubblicazione della procedura internazionale».

Il concorso dunque incombe e, dati i precedenti, il timore che il progetto vincitore possa sfregiare indelebilmente questo simbolo della cristianità è più che legittimo, ragion per cui, prima che possa risultare troppo tardi, occorre fare in modo che lo sbandierato “processo partecipativo” preceda il bando, facendo sì che le richieste del popolo vengano davvero considerate[6], indipendentemente dalle mode passeggere e dall’ideologia della presunta élite colta chiamata a decidere.

Si ricorda infatti che, nella lettera scritta dal “Comitato per la Ricostruzione della Basilica “com’era, dov’era”, si legge: «La Basilica aveva una forma semplice alla quale siamo legati; rigorosa, molto spirituale, splendidamente integrata nel mirabile contesto della nostra piazza. Il nostro desiderio, come quello di tantissimi nursini per nascita o per adozione, è quello di rivederla com’era e dov’era. Nella lettera chiediamo pertanto di non modificare la forma antica di questo importante simbolo culturale e identitario, mondiale e cittadino, senz’altro consapevoli delle problematiche di tipo antisismico che dovranno essere severamente considerate unitamente a quelle di carattere estetico che ci sono altrettanto care».

La recente esperienza di Ferrara ci deve servire da monito per comprendere come – se davvero si debba ricorrere ad un Bando Internazionale di progettazione, sebbene occorra ricostruire senza dar spazio all’invenzione – il bando debba essere strutturato. Infatti la vicenda ferrarese ci insegna che la comunità degli architetti (ideologicamente compromessa), potrebbe nuovamente tuonare contro chi si opponga al “regolare risultato di un regolare concorso bandito sotto l’egida della Soprintendenza, del Mibact e dell’Arcivescovato locale” … indipendentemente dal fatto che quel concorso possa risultare falsato in partenza dall’ideologia di chi l’abbia concepito e giudicato.


[1] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/10/25/salviamo-la-basilica-di-norcia-dalla-follia-radical-chic-dellarcivescovo-di-spoleto-e-norcia/

[2] http://www.perugiatoday.it/cronaca/terremoto-bando-internazionale-progettazione-basilica-san-benedetto-norcia-fuorisalone-2018-mibact.html

[3] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2019/01/10/concorsi-di-architettura-e-lamentele-forse-bisognerebbe-porsi-delle-domande/

[4] Ettore Maria Mazzola, “Architettura e Guerra” – Diònysos n. 1 (Aprile-Giugno 2016)

[5] http://www.umbria24.it/attualita/ricostruzione-della-basilica-norcia-le-linee-guida-la-progettazione

[6] http://www.meteoweb.eu/2018/09/terremoto-centro-italia-basilica-norcia-3/1147104/

4 pensieri su “Riflessioni preventive sul Concorso Internazionale per la Ricostruzione della Basilica di San Benedetto a Norcia

  1. Cosa aggiungere al tuo già efficacissimo intervento.
    Io conosco benissimo Norcia e anche la comunità benedettina che risiedeva nell’abbazia distrutta.
    Le parole dell’arcivescovo mi fanno venire in mente la famosa filastrocca: se l’arcivescovo di costantinopoli si disarcivescoviscontantinopolizzasse…sarebbe una gran bella cosa.

  2. Sono perfettamente in sintonia con il commento sulla basilica di San Benedetto a Norcia non sul concorso Palazzo dei Diamanti a Ferrara. In questo l’intervento vincitore del concorso, non solo e’ rispettoso del palazzo a ne valorizza lo spazio esterno ,attualmente abbandonato , ma la leggerezza della struttura e la sua trasparenza ne funzionalizzano l’uso in modo non permanente. Infine bisogna pur affidarsi a concorsi di idee e , nella correttezza dela procedura, rispettare il parere di una commissione di esperti.

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