Nell’ultimo articolo, pubblicato parzialmente anche sulla Gazzetta del Mezzogiorno il 5 luglio 2019, riflettendo sulla perdita graduale del nostro patrimonio generata da norme “rigenerative urbane” di dubbia validità, avevo esordito parafrasando l’aforisma ambientalista del Capo della tribù dei Sioux Toro Seduto[1] e dicendo: “Solo dopo che l’ultimo centro storico sarà perduto, solo dopo che l’ultimo paesaggio sarà violentato, voi vi accorgerete che il denaro non può essere mangiato!”
All’indomani della pubblicazione parziale – per ragioni di spazio – del testo rivisitato e corretto sulla Gazzetta del Mezzogiorno, ritengo necessario fare un’annotazione sulla parte tagliata che, a mio avviso, risulta la più importante dell’intero testo, perché diretta a chiarire, alla gente intimorita dalle dichiarazioni del Presidente della Commissione Edilizia e dei rappresentanti dell’Assinpro, che non è assolutamente vero che avere un vincolo risulti dannoso, né tantomeno che risulti vero che demolire e ricostruire risulti economicamente più vantaggioso.
Quest’ultima è infatti una balla clamorosa risalente all’epoca della “demonizzazione dei centri storici e dell’edilizia storica” sviluppatasi specie a partire dai primissimi anni ’60 di cui ho già detto nell’articolo citato[2]!
Considerato che il Presidente della Commissione Edilizia di Barletta aveva menzionato un nuovo possibile Piano Particolareggiato per il Centro Storico (sebbene Barletta abbia già un Piano Particolareggiato per il Centro Storico, redatto da Marcello Grisotti, Dino Borri, Renato Cervini, Marcello Di Marzo, Angelo Rodio e Rosa Colella), nel testo avevo evidenziato come questo strumento non risolva nulla dato che, come anche ricordato dal Laforgia, si limita a riportare l’elenco degli interventi realizzabili nella “Città Consolidata” – ergo dei “DOVERI” per i proprietari privati e non – diversamente, ciò che realmente servirebbe per proteggere la “Città Consolidata” e tutta l’edilizia storica, sarebbe uno strumento differente, il Piano di Recupero del Centro Storico che, se strutturato secondo la Legge 457/78 e la Legge Regionale 47/78 dell’Emilia Romagna, risulterebbe in grado di fornire ai proprietari[3] anche molti “DIRITTI”, facendo sì che, finalmente, essi risulterebbero incentivati dallo Stato a restaurare i propri immobili, piuttosto che cedere alle tentazioni dei costruttori!
Così come avevo già scritto nel settembre 2017, proprio sulla vicenda di Palazzo Tresca dopo un incontro con il sig. Fucci[4], esistono diverse ragioni per cui ai proprietari – ed alla città – risulterebbe più conveniente intervenire restaurando il Palazzo.
Come avevo avuto modo di spiegare al Fucci l’Italia, almeno dal 1961, possiede degli strumenti normativi in grado di dare sostegno ai privati affinché, anche se non dovessero poterselo permettere, restaurino il nostro patrimonio. Si tratta di strumenti dei quali io stesso, da progettista e direttore dei lavori per alcuni restauri eseguiti a Roma, ho potuto far beneficiare un ordine religioso (Somaschi di Sant’Alessio e Bonifacio all’Aventino) e tre condomini al centro della Capitale. Si tratta, per esempio dei contributi previsti dalla ex Legge 1552 del 1961, la quale prevedeva un sistema contributivo che, fino ai primi anni ’90, aveva funzionato a stento a causa della confusione dei capitoli di spesa e dell’italianissimo iter burocratico lungo e farraginoso.
Quel sistema, dopo un lungo lavoro da parte dell’Ufficio per il Bilancio e la Programmazione del Ministero per i Beni e per le Attività Culturali, è poi stato migliorato, istruendo appositi capitoli di spesa, finché il Decreto Legislativo 490/99 non è riuscito a riunire la materia in un unico testo, facendo maggior chiarezza.
In fondo, ho potuto costatare con mano, spesso il problema della diffidenza nei riguardi di questo sistema derivava dall’incompletezza della documentazione prodotta e, ancor più spesso dalla mancanza di volontà di produrla, per ignoranza dei professionisti incaricati, oppure per riuscire a tenere nascosti pagamenti illegittimi, oppure perché, come ho sentito dire anche in questa occasione, “poi siamo costretti a fare come vuole la Soprintendenza” … un pregiudizio, spesso infondato, probabilmente messo in giro da coloro ai quali non piaccia agire nel rispetto delle norme e delle caratteristiche dei monumenti!
Come professionisti veniamo ormai costretti a seguire corsi inutili per i crediti formativi permanenti che ci istruiscono sulle ultime inutili idiozie, create ad-hoc da parte dei benpensanti della società dei burocrati, oppure per assistere a dimostrazioni di assemblaggio di infissi e mattonelle (pubblicità nemmeno occulta), quando magari faremmo bene a riprendere in mano i libri su cui abbiamo studiato e le leggi che ancora avremmo in funzione e che abbiamo dimenticato.
Nel caso della normativa in oggetto, la concessione dei contributi per il restauro ai fini della conservazione di beni vincolati, prevede che il restauro venga autorizzato dalla competente Soprintendenza (articolo 35 e seguenti). Una volta autorizzato il restauro questa, a seguito di relativa domanda, si esprime sull’ammissibilità al contributo in conto capitale (articoli 41 e 42) «per un ammontare non superiore alla metà della spesa», dandone comunicazione al richiedente. Al termine dei lavori e dopo il relativo collaudo amministrativo da parte dei tecnici della Soprintendenza di zona, la pratica viene trasmessa a Roma alla Direzione per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Ministero la quale, dopo un ulteriore controllo, approva in via definitiva la pratica, provvedendo alla liquidazione dei contributi autorizzati, ammessi e collaudati!
Le liquidazioni dei contributi vengono effettuate in base ad un rigoroso criterio cronologico di arrivo della pratiche agli uffici preposti del Ministero. Il rispetto di questo ordine cronologico, il triplice sistema delle autorizzazioni, dell’ammissibilità al contributo e del collaudo amministrativo finale, il rigoroso controllo della qualità del restauro da parte di tecnici preparati e motivati hanno consentito il recupero di pregevoli manufatti e, in questo caso, potrebbero consentire il recupero di Palazzo Tresca (ovviamente se venisse vincolato), e di tutta quella serie di Palazzi storici che a Barletta, per assurdo, rischiano di morire.
Eppure, nonostante le maldicenze e i pregiudizi, come contropartita al contributo, al proprietario viene semplicemente richiesto di aprire al pubblico il bene restaurato, secondo modalità concordate con la Soprintendenza e ufficializzate in un atto pubblico, registrato presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari. … quale sarebbe dunque il problema?
Per comprendere quanto possa essere assurdo, nella stragrande maggioranza dei casi, ritenere “ingiusta” questa contropartita, posso raccontarvi che, prima dello spostamento della sede della University of Notre Dame presso cui insegno a Roma, le attività si svolgevano presso Palazzo Capranica-Del Grillo-Ristori, edificio che io stesso ho restaurato seguendo l’iter di ci sopra; ebbene, una sola volta – in 15 anni – è capitato che un gruppo di 7 studiosi, interessati alla figura della grande attrice Adelaide Ristori, abbia chiesto di ammetterli ad entrare per ammirare il dipinto a soffitto del salone ove l’attrice usava intrattenere i suoi ospiti!
A questo punto, occorrerebbe ampliare il discorso all’intera città e nazione, riflettendo sull’opportunità mancata, in occasione della Legge 457/78 che istituì i Piani di Recupero, uno strumento urbanistico dalle immense possibilità che, per colpa del pressapochismo dei politici italiani, rimase lettera morta. Ad eccezione infatti della Legge Regionale 47/78 dell’Emilia Romagna, nessuna Regione legiferò in materia per mettere in atto dei Piani di Recupero che avrebbero potuto creare un’infinità di posti di lavoro, aiutando anche chi non poteva permetterselo, e restaurare il nostro patrimonio, a tutto beneficio della cultura, del turismo e dell’identità del nostro popolo! … Teoricamente, ancora oggi si potrebbe intervenire in questa direzione.
Se in questo Paese si volesse davvero tutelare il nostro patrimonio, queste norme e strumenti, riposti colpevolmente in un cassetto, dovrebbero tirarsi nuovamente fuori rilanciando l’economia nazionale nel rispetto della nostra storia. L’applicazione di queste norme e strumenti aprirebbe una serie di altre possibilità da non sottovalutare, per esempio la possibilità di attingere a tutti quei contributi a fondo perduto della Comunità Europea per il restauro del patrimonio storico e per la riformazione dell’artigianato edilizio locale che, spesso, tornano indietro perché non se ne fa richiesta con progetti adeguati. Un vero paradosso!
In Europa esistono intere città restaurate grazie a programmi come il vecchio “Progetto Raphael”, Santiago di Compostela, per esempio, è stata meravigliosamente restaurata grazie ad un programma dove i fondi europei sono stati messi bene a frutto. Perché non Barletta? Perché, in nome della presenza della Cementeria, gli imprenditori non iniziano a pensare che anche il restauro (quello vero) possa avere i suoi benefici economici per loro e per la città? Perché non si riflette sul danno economico dell’invenduto nelle zone di espansione ed al contemporaneo stato di abbandono e degrado di splendidi edifici centrali che meriterebbero di tornare in vita? Che senso ha continuare a costruire, se la popolazione italiana decresce?
A Palermo è ormai da anni in atto un vero e proprio “ritorno al centro storico” da parte dei cittadini che erano stati invitati a spostarsi nei “quartieri nuovi” generati dalla teoria urbanistica della “Nuova Gerusalemme”. Questo processo vede splendidi interventi di ricostruzione “com’era e dov’era” di edifici quasi del tutto rasi al suolo in occasione della seconda guerra mondiale e/o abbandonati negli anni ’50-‘60. Un processo che ha fatto rinascere l’artigianato locale dei battitori di ferro, degli stuccatori, ecc., e che sta riportando la meravigliosa via Alloro al suo antico splendore. Un costruttore locale illuminato, l’ing. Marco Giammona, ha ricostruito il grande lotto di Palazzo Beccadelli Bologna Principi di Sambuca, oltre che molti altri edifici che la città aveva quasi dimenticato … ottenendo un enorme successo immobiliare e di immagine!
Oggi Palazzo Sambuca di Palermo è un grande splendido condominio con doppio cortile a prato e acciottolato, all’interno del quale ha sede la Fondazione Sambuca, ha casa lo stesso Giammona e, nella bellissima “Cavallerizza”, ha sede l’atelier di una delle più importanti griffe della moda pronta italiana, di proprietà della famiglia dell’étoile dell’Opera de Paris, Eleonora Abbagnato.
Giammona a Palermo ha fatto scuola, e il suo operare nel restauro rispettosissimo delle preesistenze e dei caratteri artistici originari non è un’opera di beneficienza in perdita, ma un qualcosa di grande prestigio per la sua impresa e la sua Fondazione, oltre che un qualcosa da cui guadagnarsi da vivere.
Perché l’impresa Fucci, che tra l’altro possiede un architetto in famiglia, non potrebbe risultare l’equivalente nel capoluogo della BAT? Perché Palazzo Tresca di Barletta non potrebbe diventare la sede prestigiosa di rappresentanza dell’impresa Fucci?
Quanto ho esposto spiega meglio le ragioni per cui consideri assolutamente inaccettabile che il Presidente della Commissione Urbanistica Laforgia possa essersi espresso sostenendo:
«[…] sarebbe opportuno che non vivessimo in una città fatta di vincoli dei quali spesso si ignorano i motivi per i quali vengono apposti».
E questa è anche la ragione per cui ritenga inaccettabile che i rappresentanti della Assinpro, abbiano rilasciato dichiarazioni atte a spaventare i cittadini e promuovere la distruzione di Palazzo Tresca e, conseguentemente, la devastazione di ciò che è rimasto del tessuto storico della città!
Le accuse di mancanza di volontà del progresso lanciate da questi signori sono del tutto inconsistenti e figlie di una visione molto limitata, spesso figlia di un provincialismo culturale ingiustificabile, che induce a pensare che la propria edilizia storica, anche quella minuta e vernacolare – che il mondo ci invidia – risulti dozzinale e priva di qualità al cospetto delle “moderne” opere astruse pubblicate sulle riviste patinate. Essi dovrebbero infatti comprendere che, quando tutto il mondo risulterà uniformato a quell’edilizia priva di carattere, non vi sarà più ragione alcuna per il turismo colto e non di visitare il nostro Paese … riportando così il discorso alla massima di Toro Seduto sull’ambiente!
Essere “moderni”, essere “evoluti”, non significa dover reinventare costantemente la ruota, né dover distruggere quanto ricevuto in eredità perché, come ho già scritto in altre occasioni citando un altro saggio capo indiano – Alce Nero – «non ereditiamo la terra dai padri, ma la riceviamo in prestito dai nostri figli».
Se questo non basta, come già espresso in un precedente articolo, invito gli amministratori pubblici barlettani, ma anche a tutti i politici nazionali, a riflettere su quanto ho avuto modo di scrivere due settimane fa, di ritorno dal 56° Convegno dell’Internationa Making Cities Livable tenutosi a Portland nell’Oregon[5], quando ho dato notizia del prestigioso premio conferito al sindaco di Porto, Rui Moreira, per la sua illuminata politica basata sul recupero piuttosto che sulla cementificazione e lo sperpero, quella politica, che in campagna elettorale era stata messa in ridicolo dai suoi detrattori e dai giornalisti al loro servizio, in questi 6 anni ha portato la splendida cittadina portoghese ad azzerare il debito e riportare i conti in positivo, ha ridato vita al centro storico, ha sviluppato l’economia locale, le piccole e medie imprese e l’artigianato, ha fatto registrare un incremento annuo del turismo del 10% ecc.!
Nihil difficile
volenti!
[1] “Solo dopo che l’ultimo albero sarà abbattuto, solo dopo che l’ultimo lago sarà inquinato, solo dopo che l’ultimo pesce sarà pescato, Voi vi accorgerete che il denaro non può essere mangiato”
[2] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2019/07/02/edifici-storici-a-rischio-rigenerazione-urbana/
[3] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/10/21/dopo-via-ticino-incontri-ravvicinati-di-terzo-tipo-col-ministero-dei-beni-culturali/
[4] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/09/14/palazzo-tresca-la-svolta-possibile-gli-interessi-della-collettivita-e-quello-privato-non-sono-inconciliabili-anzi/
[5] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2019/06/23/riflessioni-dopo-il-56-convegno-dellimcl-di-portland/
Impagabile FierMazzola, non sto a dilungarmi su quanto sia d’accordo con quanto qui scrivi, vorrei solo sottolineare l’importanza dei vincoli per gli architetti e non è un caso se gli strutturali ci accompagnano già nello studio della statica nei primi vagiti del corso di laurea. L’architetto se non ha vincoli se li inventa o muore, sono fondamentali nel processo progettuale ! Di più, le leggi e le norme tracciano la strada più breve e sicura per raggiungere un obiettivo, alla faccia dei furbi che in Italia sono sempre troppi e che spesso, ma mai abbastanza, finiscono contro un palo. L’intelligenza vince sempre sulla furbizia. E questo non significa automaticamente che tutte le leggi siano giuste o non suscettibili di emendamenti, riforme o scritture ex-novo.
Il decadimento generale, che ha ragioni lontane e profonde nell’economia politica, ha riguardato anche e soprattutto la committenza che, in un gioco di specchi, si riflette compiaciuta nella dozzinalita’ degli incaricati, avidi e servili, privi anch’essi di scrupoli, cioè vincoli. Non è una domanda di s-vincolarsi infatti, quella che viene evocata nel caso di cui parli ? Mentecatti che forse s’abbufferanno oggi, ma domani un grosso palo li attenderà al passo…e non è detto che si stamperà necessariamente sulle loro facce toste.
caro Maurizio,
Spero su quel palo … soprattutto spero che si stampi sulle loro facce toste!
Del resto chi si lamenta dell’esistenza dei vincoli è anche responsabile di un progetto di sostituzione realizzato e, mi giunge voce, di un altro in attesa di essere fatto, va da sé che non possa rinnegare il suo operato
Un intervento, questo suo, di altissimo valore etico- amministrativo dei centri urbani ed interessante riguardo sia il ” comportamento ” delle Istituzioni dello Stato e dei cittadini nell’ ambito di un problema sostanzioso e complesso quale la conservazione, il restauro e la riedificazione di caseggiati d’ epoca ma anche di strutture di ” arredo urbano “. Ho notato che a Napoli avvengono molto spesso crolli, piccoli o grandi, di edifici d’ epoca facendo anche delle vittime. Orbene una città del valore di Napoli dovrebbe essere la prima a costituire una ” Commissione stabile ” per mettere a regime un’ attività restaurativa di uno stragrande numero di edifici le cui strutture ( spesso limitate solo alle parti ” decorative ” ) sempre piu’ presentano ” segni di avvertimento ” della necessità di immediati interventi di restauro. Certamente tutto questo dovrebbe prevedere l’ intervento massiccio degli Enti dello Stato per un adeguato sostegno finanziario a dette opere di restauro o riedificazione.
Grazie davvero per le sue belle parole Arnaldo!
Verissimo, molti edifici, lasciati in uno stato di degrado, causato anche dall’impossibilità di procedere ai costosi restauri, diviene pericoloso, oltre che triste da guardarsi, sicché lo Stato dovrebbe intervenire, non con comparsate in occasione dei funerali di qualche vittima, ma semplicemente mettendo in funzione le Leggi e gli strumenti già esistenti e “dimenticati” che ho elencato. Tutti, non solo gli edifici ne beneficerebbero e l’economia si rimetterebbe in moto, molto più che con lo “sblocca cantieri” che accentra i profitti e il lavoro in quelle “grandi opere” che, spesso, non servono a nulla (la vicenda del Mose di Venezia dovrebbe insegnarcelo). Cordiali saluti
Verissimo che “al termine dei lavori e dopo il relativo collaudo amministrativo da parte dei tecnici della Soprintendenza di zona, la pratica viene trasmessa a Roma alla Direzione per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Ministero la quale, dopo un ulteriore controllo, approva in via definitiva la pratica, provvedendo alla liquidazione dei contributi autorizzati…”. È però anche vero che tra il “collaudo” e la concreta erogazione passano anni (attualmente l’attesa è dell’ordine di sei, sette anni!….); il gravame iniziale è pertanto esclusivamente a carico dei proprietari che devono comunque anticipare le somme, spesso ingenti e non nelle loro disponibilità’. L’ammissione al contributo avviene infatti “a spesa sostenuta” e difficilmente supera il 30% dell’importo collaudato….A fronte di tutto ciò vi è- puntuale ogni anno – il carico fiscale (quasi quadruplicato con il governo Monti) che affligge il proprietario che intendesse procedere al restauro del proprio immobile “vincolato”….C’è pertanto ben poco oro in quello che …luccica!
Caro Lodovico, purtroppo è verissimo che succedano queste cose, per questo occorre parlarne e far comprendere a chi ci governa che, piuttosto che destinare miliardi allo sblocco di cantieri per “grandi opere” – spesso inutili – che concentrano i guadagni e benefici nelle casse di grandi gruppi che si arricchiscono a discapito della piccola e media imprenditoria e artigianato locale, essi farebbero bene a far realizzare Piani di Recupero in tutta l’Italia, destinando quei fondi all’attuazione di quei piani e al rimborso delle spese di restauro a chi ne abbia diritto!
Un’iniziativa del genere consentirebbe di spalmare su tutti il territorio nazionale il denaro per far ripartire davvero l’economia italiana