Come ho avuto modo di scrivere nei precedenti articoli, l’autorizzazione frettolosamente rilasciata dal Comune di Barletta per la demolizione di Palazzo Tresca, va bloccata e l’immobile vincolato. A beneficio di chi non l’abbia ancora voluto comprendere, vado a spiegare il perché.
Non tornerò sulla sterile polemica che ha visto da una parte la stragrande maggioranza della gente schierarsi contro questo ennesimo scempio, e dall’altra la sparuta minoranza di professionisti i quali, per non inimicarsi i costruttori locali, ha preferito appoggiare quella demolizione usando squallide argomentazioni che hanno spaziato dalla definizione di “case vecchie”, alla necessità di fare una “rigenerazione urbana” che, a loro dire, passerebbe attraverso questo genere di interventi, ragion per cui dovremmo smetterla di “accanirci a tenere in piedi edifici vecchi che cadono a pezzi”!
Ebbene, in aggiunta alla ragioni che avevo elencato nei precedenti articoli[1], da ieri, grazie all’articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno da Nino Vinella, viene ufficialmente ad aggiungersi un nuovo tassello, poco noto agli stessi cittadini di Barletta: il 27 giugno 1904, a Palazzo Tresca, nasceva Nino Frank, grande intellettuale, scrittore, giornalista, conduttore radiofonico, critico cinematografico, ecc. Una figura molto importante del panorama culturale locale e italiano. Frank, infatti, tra i suoi tanti interessi e meriti, ha magistralmente tradotto in francese le opere di Pavese, Brancati, Zavattini, Fenoglio, Sciascia, Calvino, Savinio e Malaparte, ricevendo tra l’altro il Grand Prix nazionale di traduzione nel 1987.
Alla luce del D. Lgs.50/2016, questa sola notizia basterebbe a far ritenere Palazzo Tresca un edificio da sottoporre vincolo di interesse culturale. Esistono moltissimi esempi in Italia di edifici sottoposti a vincolo. Per esempio, quello di Palazzo Capranica-Del Grillo-Ristori a Roma, edificio che conosco molto bene per averlo restaurato. Quel Palazzo – costruito in luogo della casa ove era nato Gioacchino Belli dal Marchese Giuliano Capranica-del Grillo, ripudiato dalla sua famiglia per aver sposato l’attrice Adelaide Ristori – risulta vincolato alle Belle Arti perché vi hanno vissuto la stessa Adelaide Ristori e Aldo Palazzeschi.
- Ma se questo non bastasse, vorrei ricordare ancora una volta che le cosiddette “case vecchie che cadono a pezzi” (solo nella mente di chi pronunci queste definizioni), esse risultano essere l’indispensabile umile cornice al monumento di turno. In quest’ottica, la demolizione di Palazzo Tresca a Barletta costituirebbe una grave mutilazione della cortina edilizia che ospita Palazzo Calò e Palazzo Passero.
Le mie parole in difesa del Palazzo e dell’edilizia minore non sono, come qualcuno in malafede voglia far credere, il frutto di un’ideologia passatista, bensì il sunto di quello che è l’orientamento internazionale volto alla tutela dei monumenti e dei centri storici che vado ancora una volta a riassumere.
Ai sensi della Carta di Atene del 1931, infatti – se mai non si volesse ritenere Palazzo Tresca come degno di essere un’importante testimonianza dell’architettura e della società barlettana post-unitaria – esso andrebbe comunque mantenuto nelle sue forme e restaurato nel rispetto dell’adiacente Palazzo Calò, realizzato dal grande progettista barlettano Arturo Boccassini, perché la Carta, suggeriva “di rispettare, nelle costruzioni degli edifici, il carattere e la fisionomia della città, specialmente in prossimità dei monumenti antichi, per i quali l’ambiente deve essere oggetto di cure particolari […]”.
Ai sensi della Carta di Venezia del 1964 invece, in linea con le ragioni di cui sopra, Palazzo Tresca andrebbe tutelato perché “la conservazione di un monumento implica quella della sua condizione ambientale. […] (per cui, n.d.r.) verrà messa al bando qualsiasi nuova costruzione, distruzione ed utilizzazione che possa alterare i rapporti di volumi e colori”: edificare una qualsiasi palazzina nello “stile” tanto in voga tra i costruttori e progettisti barlettani risulterebbe una grave offesa all’architettura di Palazzo Calò.
Ancora, ai sensi della Carta Italiana del Restauro del 1972 e sempre in linea con le indicazioni precedenti, la sostituzione di Palazzo Tresca con una nuova palazzina ignorerebbe il fatto che, come recita l’importante documento, “[…] è proibita indistintamente […] ogni alterazione delle condizioni accessorie o ambientali nelle quali è arrivata sino al nostro tempo l’opera d’arte, il complesso monumentale o ambientale, il complesso d’arredamento, il giardino, il parco, ecc.” […] “Il restauro non va, pertanto, limitato ad operazioni intese a conservare solo i caratteri formali di singole architetture o di singoli ambienti, ma esteso alla sostanziale conservazione delle caratteristiche d’insieme dell’intero organismo urbanistico e di tutti gli elementi che concorrono a definire dette caratteristiche. […] Gli elementi edilizi che ne fanno parte vanno conservati non solo nei loro aspetti formali, che ne qualificano l’espressione architettonica o ambientale, ma altresì nei loro caratteri tipologici in quanto espressione di funzioni che hanno caratterizzato nel tempo l’uso degli elementi stessi. […] Su tutto il complesso definito come centro storico si dovrà operare con criteri omogenei”. Alla luce di questo punto, la dissonanza di carattere che si verrebbe a creare nella cortina edilizia di palazzo Calò e Palazzo Passero, con la perdita di palazzo Tresca, risulterebbe un’alterazione inammissibile.
Inoltre, sempre sulla stessa linea delle indicazioni precedenti, secondo la Dichiarazione di Amsterdam del 1975, “Per molto tempo sono stati tutelati e restaurati soltanto i monumenti più importanti, senza tener conto del loro contesto. Essi però possono perdere gran parte del loro valore se questo loro contesto viene alterato”, va da sé che, la sostituzione di Palazzo Tresca con l’ennesima palazzina “moderna” rischierebbe di mortificare, piuttosto che tutelare, l’adiacente Palazzo Calò.
Per concludere, ricordo ancora come la Carta di Cracovia del 2000 possa aver chiarito in maniera inequivocabile che “Gli edifici nelle aree storiche possono anche non avere un elevato valore architettonico in sé stessi, ma devono essere salvaguardati per la loro unità organica, per le loro connotazioni dimensionali, costruttive, spaziali, decorative e cromatiche che li caratterizzano come parti connettive, insostituibili nell’unità organica costituita dalla città”.
Nella speranza di aver potuto contribuire a chiarire le ragioni per cui, indipendentemente da ciò che è stato detto e scritto, l’unico “atto dovuto” relativo a Palazzo Tresca risulterebbe la sua tutela mediante l’apposizione del vincolo di interesse culturale, auspico che si ponga fine alla polemica e che, d’ora in poi, Barletta e i suoi amministratori operino nel rispetto più assoluto della propria identità storico culturale.
[1] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/09/05/ma-perche-strappare-le-nostre-radici-fermiamo-la-demolizione-di-palazzo-tresca-a-barletta/
Un pensiero su “V’è più di un motivo per vincolare Palazzo Tresca a Barletta”