Sull’assurdo fraintendimento del concetto di “bello” nell’Arte Concettuale

La mia opinione sull’arte concettuale affidata alle sapienti mani di Batman

Nel lungo elenco dei disastri culturali della metà del secolo trascorso, c’è l’avvento della cosiddetta “arte concettuale, nata in opposizione alle forme d’arte fino allora conosciute, che venivano giudicate ed apprezzate dalla società contemporanea, in base alle loro qualità e capacità di suscitare emozioni.

Erano gli stessi anni in cui l’architettura tradizionale veniva messa al bando perché ritenuta “borghese” e “fascista” da parte di una pletora di professionisti ed “esperti della materia” i quali, sull’onda emotiva del secondo conflitto mondiale e delle persecuzioni razziali, pensarono bene di fare teoria (e un sacco di soldi) a favore degli speculatori fondiari, molti dei quali appartenevano esattamente a quel mondo che ritenevano di dover combattere.

L’ipocrisia e l’ignoranza di quei presunti “rivoluzionari antiborghesi” è oggi sotto gli occhi di tutti. Quei rivoluzionari hippies ben presto si sono trasformati in yuppies, operando in maniera ben più devastante del “mostro borghese” che finsero di combattere.

Grazie al discorso politico-emotivo di quegli anni, il lavaggio del cervello operato sulle persone – come un cemento a presa rapida – fece subito presa e indurì, ragion per cui, ancora oggi, pur di apparire coerenti con la loro “posizione politico-culturale”, molte persone che si ritengono “di sinistra”, amano fingere di comprendere ed apprezzare l’estetica di opere insulse, figlie dell’ignoranza consumista applicata all’arte, che vede il valore di un’opera in funzione della “quotazione economica” dell’artista, piuttosto che in funzione delle sua capacità artistiche!

Inutile far notare a certi personaggi quanto possa apparire “borghese” ed “elitario” il fatto che, a loro avviso, l’apprezzamento e la comprensione di certe opere possa essere esclusivo appannaggio di una élite colta in grado di farlo!

La presunta “opera d’arte” con la scritta “Government” posta di fronte all’ingresso del Castello di Barletta come prologo alla mostra “Victory of Democracy” di Andrei Molodkin nell’ambito del progetto Puglia-Circuito del Contemporaneo.

Nei giorni scorsi, avendo avuto l’ardire di esprimere onestamente la mia soddisfazione (ma sui social non ero stato il solo!) per la rimozione – con mesi di ritardo – di una immonda installazione che deturpava l’ingresso del Castello di Barletta[1], un mio conoscente mi ha definito un ignorante, un presuntuoso incompetente e un maleducato … ovviamente quella persona – che si commenta da sé – non è stata in grado di rispondere alla mia richiesta di spiegare, a tutti gli ignoranti come me, la “bellezza” di quella installazione, né il perché a suo avviso risulti giusto imporre a tutti, anche a chi non abbia alcun interesse a vederle, la visione di certe installazioni che appaiono come una vera e propria violenza! … peraltro usando denaro pubblico.

Quando ci si imbatte in discussioni del genere, i difensori dell’arte concettuale (costantemente incapaci di distinguere tra “concetto” – o “significato” – e “bellezza” di un’opera d’arte) … volendo apparire intellettuali e sensibili, si limiteranno a sostenere che l’opera di turno gli piaccia per il suo “significato simbolico”; tuttavia non proveranno mai a chiarire come quel “significato”, se mai ci fosse, possa tramutarsi in valore estetico in grado di far definire quell’opera “bella”!

Davanti a certe sterili discussioni con persone le quali, pur di apparire colte, sono disposte a farsi prendere per i fondelli dai mercanti d’arte, diviene difficile, se non addirittura inutile, sprecare parole, eppure non bisogna demordere, magari iniziando con il chiarire qualcosina sperando che, prima o poi, rinsaviscano.

Innanzitutto bisognerebbe ricordar loro che gli artisti concettuali, come ho ironizzato nella vignetta iniziale, sostengono che “l’arte non risieda nell’aspetto delle opere realizzate, ma nell’idea, nella parola o nel pensiero percorso per realizzare tale opera.

Inoltre, sebbene gli storici dell’arte ritengano l’esperienza dell’arte concettuale nata alla metà degli anni ’60 e già conclusa alla fine degli anni ’70, ancora oggi l’idea che il “significato nascosto” di un’opera ne costituisca il suo valore, consente a molti “imbratta-tele” e “ferrivecchi” di potersi ritenere artisti …

Del resto, come ebbe onestamente a dirci il prof. Achille Bonito Oliva all’epoca in cui ero studente di Architettura all’Università di Roma, “non è vero che artisti si nasca, solo critici si nasce!” … Il ragionamento dello storico-critico dell’arte, creatore della Transavanguardia, voleva arrivare a farci capire che, se hai gli agganci giusti, se entri nelle grazie del “critico giusto”, anche se non vali nulla, puoi venir considerato un artista! … Va da sé che, nel mondo dell’arte contemporanea, vadano per la maggiore quegli artisti appartenenti a certe lobbies sulle quali è meglio non aprire alcun discorso, per evitare che della gentaglia in malafede possa lanciare accuse come quelle che, nel tempo, si è beccato Maurizio Blondet[2]!

Ciò però non toglie che risulti utile far sapere che oggi esistano caveaux di note compagnie assicurative e banche londinesi, che custodiscono opere realizzate – su commissione – da una serie di incapaci imbratta-tele e ferrivecchi che, nei prossimi anni, verranno lanciati sul mercato dell’arte come vere e proprie divinità artistiche …

I mercanti del consumismo applicato all’arte, per poter rimpinguare le proprie tasche approfittando dei fessi, sanno bene di poter far forza sull’attitudine provinciale di una società snob che ama mostrarsi colta fingendo di apprezzare certe nefandezze … essi ben sanno che in una società del genere qualsiasi porcheria, opportunamente pubblicizzata dai parolai-Re-Mida di turno, verrà trasformata in moneta sonante!

Non è un caso se, proprio in Inghilterra, nel 1961, apparve sulla scena “artistica” la corrente “Fluxus” che, «nella evoluzione della sua filosofia trasformò il concetto ‘tutto è arte’ in ‘non-arte’ ed in ‘anti-arte’, portando gli artisti verso la totale libertà dallo status dell’arte».

A questo punto, quindi, per evitare le consuete accuse che mi vengono mosse quando esprimo il mio onesto parere su certe “opere”, per meglio chiarire in cosa consista l’arte concettuale, cito di seguito la spiegazione riportata su di un sito, non fazioso come potrei essere ritenuto io, dedicato all’arte[3]:

«L’arte concettuale ha abbandonato presto tela e pennelli per occuparsi di oggetti e composizioni che nulla hanno a che fare con il concetto o l’estetica dell’Arte espressa e riconosciuta nell’ambito delle Arti Visive.

Ma poiché ogni “artista” ha potuto mettere in mostra se stesso e le sue idee, utilizzando qualsiasi elemento solido, liquido, oltre agli spazi vuoti o pieni, è difficile trovare elementi comuni fra di loro oltre ciò che negano.

In effetti tutti questi artisti hanno un punto in comune che emerge prepotentemente dalle loro opere: il gusto per l’abiezione e per l’orrore, il fascino per i fluidi corporei, il sangue, il liquido seminale, l’urina, gli escrementi, il muco nasale, l’effetto ipnotico per l’automutilazione o la mostruosità, allineandosi tutti all’estetica del disgusto, unico dato caratteristico dell’evoluzione dell’arte concettuale.

Gli studiosi d’arte, hanno diviso le esperienze concettuali in due gruppi principali: quelle legate al “pensiero” e quelle legate all’”evento”.

Nel primo caso hanno raggruppato artisti la cui attività, seppur legata alla produzione di opere concrete, le pone come messaggio prettamente intellettuale.

Nel secondo caso rientrano quelle esperienze artistiche che non producono opere, ma solo eventi temporalmente limitati, la cui traccia rimane solo nella testimonianza, fotografica, filmica o altro, dell’evento stesso».

Nell’uno, come nell’altro caso, chi promuova questo genere artistico, per poter raccogliere consensi (o presunti tali), ricorre all’uso di spazi storicamente caratterizzati, per esser certo che ci sarà un pubblico. … Ovviamente ci verrà raccontato che queste “contaminazioni artistiche”, come amano definirle, sono necessarie alla “valorizzazione” del “contenitore culturale” (nuova definizione del monumento), e mai che, in realtà, sia la location a dar valore all’immondizia sottoculturale proposta!

Per assurdo, discutendo di queste tematiche con alcuni estimatori sono arrivato perfino a sentir sostenere che il discorso relativo al “significato simbolico” di un’opera (cui viene dato un valore estetico), riguardi solo l’arte moderna e contemporanea e non quella classica, come se tutta l’arte antecedente le avanguardie artistiche otto-novecentesche fosse un puro esercizio manierista, un divertissement degli artisti, privo di qualsivoglia simbolismo!

In certe discussioni, l’intellettualoide di turno tende a ritenere ignorante chi non comprenda il valore estetico (la “bellezza”) di un’opera “concettuale” o di un’installazione (come amano definirla) contemporanea … esso, comunque, si guarderà bene dallo spiegare ciò che non si comprenda!

Il fraintendimento estetico per un’immonda installazione contemporanea va di pari passo con quello che succede nel mondo dell’edilizia, laddove si definisca “bellissimo” – per ragioni di funzionalità – un nuovo ipertrofico ospedale che però deturpa una collina, oppure un edificio alla “famolo strano”, definito “bellissimo” per la vista della quale gode, piuttosto che pensare alla mostruosità della sua vista dal lato opposto!

Quando mi capita di relazionarmi con certe persone che amano ostentare il proprio “a me piace”, senza spiegarne le ragioni estetiche, mi diverte fare un piccolo test, mettendole a confronto con un’opera d’arte degna di tale definizione.

Per poter accedere al test è necessario prima di tutto ricordare che non è assolutamente vero che solo una élite colta risulti autorizzata ad esprimere giudizi estetici sull’arte e l’architettura. A tal proposito è necessario rendersi conto che, da che mondo è mondo, per poter apprezzare la bellezza di un’opera d’arte, non risulta essere mai stato necessario possedere uno specifico titolo di studio, un’abilitazione professionale o una specializzazione, perché l’apprezzamento estetico, oltre a risultare universalmente condiviso, appare maggiormente rintracciabile in tutti gli animi puri – per esempio nei bambini – che non avendo subito “manipolazioni ideologiche”, riconoscono a primo acchito le forme archetipe di bellezza, senza necessitare delle nostre parole.

Diversamente, il significato nascosto di un’opera, si configura come un valore aggiunto destinato agli esperti, agli iniziati, ai cultori, ecc. e, sebbene esso, sin dall’antichità, sia sempre stato presente nelle opere d’arte, mai nessuno (prima dei tempi recenti) ha preteso che esso potesse prevaricare l’estetica di un’opera, fino a soppiantarla.

L’obiettivo del test è quello di dimostrare che, chiunque, di qualsiasi estrazione socio-culturale, risulti in grado di apprezzare o meno l’estetica di un’opera, pur non conoscendone la storia, il simbolismo nascosto e, magari nemmeno il soggetto.

Ogni anno mi diverto a fare questo test con i miei studenti durante il consueto viaggio di studi a Napoli. I miei studenti sono prevalentemente americani e, quasi la totalità di loro, per ragioni collegate al sistema d’istruzione primaria e secondaria del proprio Paese di origine, risulta quasi totalmente a digiuno da discorsi sulla scultura e sull’arte figurativa più in generale. Il loro background culturale infatti, raramente dà loro la possibilità di conoscere l’esistenza di determinate opere, ragion per cui risultano ancora liberi da pregiudizi culturali che, generalmente, attanagliano molti di noi … in pratica essi si configurano come quegli “animi puri” che ho citato in precedenza.

Napoli, offre moltissime occasioni per effettuare questo piccolo test.

In pratica, prima ancora di iniziare la mia lezione all’interno della Cappella Sansevero, chiedo ai ragazzi la loro opinione su tre delle sculture ivi custodite (“Pudicizia” di Antonio Corradini, “Disinganno” di Francesco Queriolo e “Cristo Velato” di Giuseppe Sanmartino) stessa cosa la faccio, all’interno del Museo Archeologico Nazionale, prima di spiegare l’impressionante “Toro Farnese”.

In tutti e quattro i casi i ragazzi si mostrano affascinati dall’incredibile maestria con cui gli autori barocchi e antichi hanno saputo dar vita al marmo delle loro opere, essi esprimono grande apprezzamento per il loro realismo e la loro bellezza: dalla trasparenza eterea del velo della Pudicizia, alla percezione del sudore che impregna  la Sindone che copre il Cristo di Sanmartino, dall’inestricabilità della maglie della rete da pescatore che avvolge il Disinganno, all’incredibile turbine che avvolge l’intera composizione del Toro Farnese e che invita a girargli intorno per non perdere alcun dettaglio. … Tutti, unanimemente, restano a bocca aperta davanti a tanta bellezza che caratterizza queste meravigliose sculture delle quali non conoscono alcun significato nascosto, né il nome.

La mia lezione non ancora avuto inizio, non v’è ancora stata alcuna “spiegazione” del significato e del simbolismo nascosto in queste opere straordinarie, tuttavia loro, così come tutti i turisti che visitano quei luoghi, hanno già saputo universalmente riconoscerne la bellezza.

Solo a questo punto posso iniziare a spiegar loro quello che è il simbolismo struggente voluto da Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, per onorare la memoria di sua madre, prematuramente scomparsa, e per perdonare suo padre che lo aveva praticamente abbandonato dopo quel lutto, concentrandosi su altri interessi che l’avevano ingannato … fino al momento del rinsavimento, ecc. ecc. Solo allora posso evidenziare i simboli religiosi e massonici nascosti in tutte le opere esposte e la loro correlazione …

Ma anche nel Museo Archeologico, solo dopo aver registrato le impressioni dei ragazzi, posso spiegare che il cosiddetto Toro Farnese rappresenti il mitico “Supplizio di Dirce”, legata alle zampe del Toro dai fratelli Anfione e Zeto per vendicare l’ingiustizia patita dalla loro madre Antiope, figlia del re Nitteo, solo allora posso raccontare la storia di quell’opera, dal suo arrivo a Roma nella casa di Asinio Pollione al suo passaggio alle Terme di Caracalla, fino alla sua riscoperta all’epoca di Michelangelo ed al suo trasferimento a palazzo Farnese prima e al Museo di Napoli poi …

In ogni caso il mio racconto non può far altro che rafforzare il valore delle opere a livello storico, concettuale, simbolico, tecnico realizzativo, ecc. … ma non di certo può servire a manipolare l’opinione degli osservatori relativamente al loro aspetto estetico che, pur essendo personale, risulta universalmente riconosciuto come eccelso, indipendentemente dalla conoscenza o meno di tutto il resto!

Napoli, Cappella Sansevero, “La Pudicizia” di Antonio Corradini, 1752.
Napoli, Cappella Sansevero, “Il Disinganno” di Francesco Queirolo, 1753-54.
Napoli, Cappella Sansevero, “Il Cristo Velato” di Giuseppe Sanmartino, 1753.
Napoli, Museo Nazionale Archeologico – “Il Toro Farnese” (Supplizio di Dirce) dalle Terme di Caracalla di Roma. Probabile Copia Romana Severiana realizzata tra il 190 e il 210 D. C. da un originale greco del 160-150 a. C. realizzato a Rodi da Apollonio e Taurisco di Tralle

[1] http://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2018/06/mostra-andrei-molodkin-castello-barletta/

[2] http://www.circolo-latorre.com/home.jsp?idrub=4621

[3] https://www.settemuse.it/arte/corrente_arte_concettuale.htm

12 pensieri su “Sull’assurdo fraintendimento del concetto di “bello” nell’Arte Concettuale

  1. Bellissimo articolo, che voglio stampare a dar a leggere a qualche mio conoscente ancora convinto che la Coproarte sia Arte, che essa debba essere “capita”, e che per farlo occorra essere in possesso di “adeguata preparazione” che non si sa in cosa consista e della quale, comunque, dai tempi dei Faraoni ad oggi l’arte vera non ha mai avuto bisogno…..
    E hai notato che ormai tutte le “opere” che deliziano gli occhi e l’olfatto della gente hanno titolazioni in quella maledetta lingua della mondializzazione che ci rompe quotidianamente anche le orecchie e senza la quale pare che in Italia non si riesca più a mettere insieme un discorso, una frase, un titolo di libro……? Evidentemente la lingua dei gargarismi esprime al meglio la sostanza e il “significato nascosto” di certi prodotti……
    Resistiamo, resistiamo……..sia pure in trincea.

  2. Condivido appieno, non conoscevo le statue illustrate e vorrei chiedere come facevano quegli scultori a scolpire particolari così delicati senza rompere il marmo, a me pare impossibile

    1. Esistono molti modi di lavorare il marmo, molti diversi tipi di scalpello e trapano, ma anche l’uso di pietre abrasive per evitare colpi che possano spaccarlo. Nel caso, davvero incredibile, della rete da pescatore che avvolge la statua del Disinganno, nell’Istoria dello Studio di Napoli (1753-54) Giangiuseppe Origlia definisce a ragione questa statua “l’ultima pruova ardita, a cui può la scultura in marmo azzardarsi”: il riferimento è ovviamente alla virtuosistica esecuzione della rete, che lasciò sgomenti celebri viaggiatori sette-ottocenteschi e continua a stupire i turisti odierni. A tal proposito, si tramanda che – come era già avvenuto al Queirolo anni prima nella realizzazione di un’altra statua – lo scultore dovette personalmente passare a pomice la scultura poiché gli artigiani dell’epoca, specializzati proprio nella fase di finitura, si rifiutarono di toccare la delicatissima rete per paura di vedersela frantumare sotto le mani.

  3. O.T.
    La censura si fa largo tra gli epigoni di Archiwatch !
    Ho scritto questo commentino sulla pubblicanda tesi di Muratore; dieci giorni fa.
    Ancora nulla… altri post ….altri commenti…
    Cosa si aspettano ?…. un coro di giaculatorie… ?

    “…..0 risposte a La tesi di Laurea di Giorgio Muratore verrà presentata durante la giornata di studi dedicata alla didattica di Bruno Zevi, che si terrà il prossimo 9 novembre…in fase di preparazione..
    memmo54 ha detto:
    Il tuo commento deve ancora venire moderato.
    2 agosto 2018 alle 20:53
    Un colpo basso alla memoria !
    Chissà come si sarà vergognato, in vita, di quelle sciocchezze inchiostrate a morte !
    Ora i suoi cari le spiattelleranno ai quattro venti distruggendo la buona memoria che faticosamente era riuscito a lasciare di se.
    Saluto Rispettoso
    ….”
    Comuque…”sempre sia lodato” !

    1. caro Memmo,

      tutto è possibile!
      Purtroppo quando abbiamo provato a far ripartire Archiwatch c’è stato un muro … poi ci sono state tante altre cose che mi hanno lasciato (e non solo me) perplesso, con celebrazioni organizzate da persone (o dove hanno parlato persone) che, sicuramente, non avrebbero fatto piacere al nostro.
      Tra i più assidui frequentatori di Archiwatch, avremmo voluto tenere in vita quel prestigioso blog ma c’è stato chi ha voluto convincere le eredi che non è detto che il nostro le avrebbe approvate … addirittura c’è stato chi ha sostenuto che noi non potevamo assolutamente interpretare il pensiero di Muratore (nessuno tra l’altro si era messo in testa di farlo), tuttavia la stessa persona ha tenuto a sottolineare che Muratore, nel tempo aveva cambiato il suo punto di vista sull’architettura, che dopo aver combattuto il museo dell’Ara Pacis e il MAXXI, ora gli piacevano e che fosse sempre più interessato alle cose che in passato aveva aspramente criticato …
      Anche per questo, quando mi è stato chiesto di farlo, ho creato questo blog.

      1. Si sarebbe distaccato troppo, in vita, da quelle norme indiscutibili del modernismo, che a volte sembrano delle vere inflessibili “grundnorm” alla base della convivenza-convenienza civile-architettonica, da dover essere severamente richiamato, rimesso in riga a pubblicizzare, da morto aihmè, le cose che aveva odiato in vita !…
        Sic transit !.. Questa, addirittura !, la censura famigliare !…di quelli che ti stanno intorno !
        State attenti voi che mi leggete,,,!,,,sistemate le cose bene ,,, in maniera che, un lontano domani, nessuno possa infilarvi un bastone dentro e sventolarvi per qualcosa di diverso da ciò che pensate.

        Saluto Censurato

        P.S.: Comunque una qualche incertezza l’ho ancora.
        Il concorso della “nuvola” fu lui a farlo vincere a quello sciagurato che conosciamo.
        L’ho capito, da estraneo totale, pochi anni fa per sua stessa ammissione/pubblicazione sul blog che amministrava.Ciò succedeva intorno agli anni 2000; non nel 1975-80 quando l’ideologia si spargeva ancora a piene mani sopra le invenzioni “corvialesche” .

  4. Grazie per questo articolo solido e chiaro, che esprime opinioni condivise (non da molti, ahimè) anche nel mondo della musica e del Jazz in particolare, dove la falsa “ricerca” fondata in realtà sul bluff intellettuale ha fatto morti e feriti… tanti!

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